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L’ambiguo regno di Minosse: il mare e l’immaginario egeo
di Pietro Militello - Università degli Studi di Catania
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Fonte: Convegno "Mare, Uomini e Merci nel Mediterraneo Antico" a cura di Bianca Maria Giannattasio
Il rapporto tra uomo e mare nell’area del Mediterraneo non può essere ricondotto ad una unica cifra, ma si fraziona in una molteplicità di relazioni legate al contesto geografico ed alle strutture sociali, variabili pertanto non solo nello spazio, ma anche nel tempo. In questa prospettiva pluralistica bisognerebbe parlare di tante tradizioni iconografiche, o sistemi iconologici, quante sono le aree ed i periodi. Ancora più opportuno sarebbe parlare di iconografie in continuo divenire che si influenzano reciprocamente e nelle quali i significati si trasformano, decostruendosi e ricomponendosi in contesti culturali differenti, diventando cioè “symbols in action”, pur nella persistenza di alcuni temi di fondo (come il rapporto tra il mondo dell’acqua e la nascita o la vita). Per cogliere la dinamicità di questi simboli proporremo oggi una lettura dell’immaginario marino nella Età del Bronzo egea articolata geograficamente e diacronicamente. Un discorso a parte si impone per le immagini delle navi, sulle quali si è focalizzata l’attenzione degli archeologi fin dalle prime scoperte del mondo egeo. Gli studi, avviati già dai primi anni del Novecento, sono sfociati nei lavori più ampi sulla marineria antica, come quelli di Casson, Johnston e Basch, o in quelli più specifici sulla tecnica navale minoica e micenea I problemi relativi alla tipologia delle navi, ai mezzi di propulsioni o alle tecniche di navigazione hanno assorbito la maggior parte delle energie. I criteri di classificazione sono stati diversi, basati sulla presenza della chiglia, sulla forma della carena o dello scafo (fig.1). Tuttavia, ancora la più recente monografia sull’argomento lascia senza risposta molte delle domande, a causa delle difficoltà di interpretazione delle immagini di imbarcazione per la loro schematicità, per l’impossibilità di verificarne lo sviluppo tridimensionale, per la difficoltà, infine, di distinguere tra rappresentazioni di modelli contemporanei all’artista o di forme desuete, per motivi rituali. Non solo per il limitato tempo a nostra disposizione, dunque, lasceremo fuori dalla nostra discussione gli aspetti più squisitamente tecnici legati alla pratica della navigazione.
Il Bronzo Antico (3500-2000 a.C.)
Le più antiche rappresentazioni dell’Età del Bronzo appartengono ad area cicladica. Esse appaiono principalmente in una ventina di manufatti particolari, le cd. “Padelle” prodotte a Syros, verso la metà del III millennio a.C., formate da un disco piatto, ovoidale, a bordo rialzato, con due brevi manici divergenti, di funzione non precisata. La decorazione è quasi sempre costituita da spirali incise, indicanti il mare. Tra il disco e i manici un triangolo bipartito è stato interpretato come una vulva schematizzata. Quando la nave è rappresentata (fig.2) è disposta obliquamente, con un effetto prospettico forse involontario, ed è un vascello lungo, a carena angolare, probabilmente fornito di una chiglia, mosso solo da remi. Un mezzo considerato più adatto alla guerra o alla corsa che al trasporto di un carico. Ad una estremità ricorre spessissimo un simbolo a forma di pesce. La identificazione di questa estremità con la poppa o la prua ha dato adito ad un lungo dibattito mai veramente risolto. Le navi appaiono anche su altri supporti dimostrando il loro radicamento nella cultura popolare. Esse si ritrovano inoltre anche a Creta, su alcuni modelli provenienti da tombe e su alcuni sigilli (fig.15). La carena può essere angolare o arrotondarsi, e l’acqua è talora accennata da una serie di linee spezzate. Nello stesso tempo, tuttavia, cominciano ad essere elaborate in area minoica le immagini dei pesci, che avranno notevole fortuna nel periodo successivo. Si tratta per il momento di iconografie semplici, elementi di motivi decorativi radiali o a girale, rappresentanti una percentuale minima del repertorio antico minoico (4 immagini su 503, lo 0,8%), e dunque difficilmente decodificabili iconologicamente. Essi possono rappresentare il mare, la pesca, o il cibo. Le difficoltà sono ben esemplificate dalla strana associazione in un sigillo prismatico Antico Minoico III (2400-2100 ca.) di Viannos (fig.16) tra la faccia intagliata con symplegma amoroso e quella con tre pesci; Koehl ha interpretato la scena facendo riferimento alla prassi orientale dell’offerta del pesce dopo la consumazione del matrimonio sacro ma ovviamente altre interpretazioni sono possibili.
Il Bronzo Medio e l’inizio del Bronzo Tardo: Creta (2100-1450 a.C.)
Nel periodo tra il 2100 ed il 1700, la prima esplosione del repertorio figurativo minoico coincide con quei processi di concentrazione del potere che porteranno, verso il 1950, alla nascita dei palazzi cretesi, primo fenomeno palatino dell’Egeo vero e proprio. Raffigurazioni su vasi, intagli su sigilli, modellini e figurine, costituirono i veicoli per la creazione di un vastissimo corpus nel quale l’elemento decorativo costituisce ancora la parte maggioritaria, ma quello figurato vi ha nondimeno un ruolo non secondario. La fonte di ispirazione è prevalentemente il mondo umano e animale, l’ambientazione quella terrestre. L’elemento acquatico vi appare tramite alcune immagini di navi (8 sigilli su 335, il 2,3%) e soprattutto di polpi e pesci (12 su 335, il 3,5%). Le prime hanno alberi e quindi anche vele, ma la carena è ancora, spesso, angolare (fig.17). Il polpo è presente, in una varietà di forma più o meno astratte, nei sigilli e nella ceramica Kamares. I pesci presentano poche notazioni anatomiche che consentano l’identificazione della specie, ma il contesto li collega soprattutto all’attività della pesca. Il carattere prevalentemente economico del rapporto con il mare si riflette nelle associazioni tra pesci e uomini in un paio di sigilli. Il pesce nella rete che si riconosce in un cratere da Festòs, pur nelle stilizzazioni della decorazione Kamares, allude chiaramente a questa risorsa economica la cui importanza è dimostrata anche dall’essere una delle poche attività quotidiane rappresentate.
Una terza fonte di ispirazione, oltre alle navi ed ai pesci, è costituita nello stesso periodo dal fondale roccioso, popolato da crostacei, conchiglie e molluschi. In alcuni casi, la resa tridimensionale di questi temi viene realizzata usando matrici plasmate forse sugli animali reali; a Mallia una classe di ceramica a rilievo possiede un ricco repertorio di conchiglie e granchi. Verso il 1700 i palazzi cretesi sono distrutti. La loro ricostruzione (1700-1450) coincide con una vera e propria rivoluzione nell’arte minoica che vede l’affermarsi del cosiddetto naturalismo cretese. Il mondo della natura diventa la fonte primaria di ispirazione, spesso soggetto autonomo e non solo elemento connotativo della azione umana. Nella nuova iconografia che si afferma, il paesaggio marino, in quanto elemento a se stante, non trova posto, a differenza di quanto avviene per il paesaggio di terra o quello di fiume. L’acqua può essere indicata da un numero limitato di icone, quali la linea spezzata o più spesso il reticolo di squame (fig.19). Molto più frequentemente, tuttavia, la sua superficie è semplicemente accennata tramite gli oggetti o gli esseri che vi vivono: navi e pesci. Cominciamo dalle raffigurazioni di vascelli. Il corpus più numeroso proviene dall’ambito sfragistico, dove la resa è spesso schematica e molti esemplari appartengono alla classe dei sigilli “talismanici”. La carena arrotondata dà origine ad una forma a semiluna con una estremità biforcuta o triforcuta, e l’altra spesso configurata a testa di animale. L’albero è sempre presente, e la vela è spesso indicata (fig.20). Nelle migliori rappresentazioni, su sigilli in metallo e spesso in oro, la nave fa parte di una scena complessa, a contenuto narrativo, non sappiamo quanto mitologico o religioso. Così, in un anello aureo da Mochlos (CMS II,3,252) una imbarcazione è guidata da una figura femminile; a bordo è presente un recinto con albero che trova un pendant in una analoga struttura sulla terraferma (fig.21). Lo spazio tra le figure è riempito da simboli diversi, quali gli oggetti oblunghi da cui escono filamenti, che riappaiono in scene di epifania della divinità. Navi configurate guidate da donne appaiono in una serie di sigilli, come una cretula da Haghia Triada (fig.22), una da Chanià (CMS V, S.1A, 138), un sigillo da Makrijalos (CMS V, S.1A, 55) ed uno, più tardo, da Tebe (fig.23). In tutti questi casi l’assenza di alberi e la navigazione a remo, spesso palesemente indicata, sanciscono la natura rituale dell’azione. La donna su nave compare infine in uno dei capolavori dell’oreficeria minoica, il cd. Anello di Minosse, di recente ritrovato (fig.24). Non sappiamo quanto legati al rituale religioso o piuttosto a miti e racconti siano un paio di scene, sempre su sigillo, che rappresentano un uomo ed una donna di fronte ad una nave. Si tratta di un anello d’oro dal porto di Heraklion, conservato ad Oxford, ed uno da Tirinto, proveniente da contesto secondario (figg.25-26).
Alle interpretazioni religiose (matrimonio sacro, epifania della divinità) si sono aggiunte quelle narrative-mitologiche, con i richiami alle figure di Teseo e Arianna o Giasone e Medea. In realtà, la figurina femminile che sovrasta la barca e il tratto di giara che appare all’estremità dell’anello riportano ancora una volta la scena al rituale epifanico, dei quali sembrano una rielaborazione. Ad ambito mitologico bisogna ricondurre probabilmente una singolare impronta su sigillo proveniente dal Palazzo di Cnosso e precisamente dalla cista orientale del Deposito del Tempio (fig.27). Un guerriero sta in piedi presso la prua di una nave dalla chiglia arrotondata, in lotta contro un mostro marino con testa di cane che emerge dalle acque. Una lentoide in sardonica (fig.31), purtroppo senza indicazione di provenienza, raffigura un uomo inginocchiato sulla tolda di una nave con un braccio proteso in avanti, mentre il timoniere, a scala più piccola, regge il remo. Sotto il braccio dell’uomo un uccello, verosimilmente utilizzato per identificare la direzione verso la terraferma.
La scena sembra fare riferimento a storie simili a quelle note dall’epopea di Gilgamesh e dal racconto biblico di Noè, ovvero a pratiche di navigazione in uso presso i marinai egei. Nell’ambito degli animali marini, questo periodo vede il proliferare di immagini di pesci di vario genere, non sempre identificabili, ad eccezione del delfino che acquista una propria autonomia iconografica. Ma è soprattutto il mondo sottomarino che acquista fortuna, dapprima nei vasi in pietra poi nella classe ceramica dello stile marino, ormai alla fine del TM I (1500-1450 a.C.). Il fondale viene individuato grazie ad un ricco patrimonio di motivi che ruotano attorno al tema del corallo e delle alghe, e che sono in parte mutuati dagli stessi stilemi utilizzati per il paesaggio terrestre. Su questo sfondo si muove un ricco campionario di esseri viventi, primo fra tutti il polpo, quindi seppie, stelle marine, conchiglie di triton, argonauti (fig.4). Tale fortuna scaturisce certamente da un generale atteggiamento di attenzione verso il mondo naturale e animale che caratterizza l’età neopalaziale, e anche dalle possibilità formali offerte dai tentacoli della seppia e ancora più del polpo per adattarsi a superfici di forma differente e creare motivi radiali o a spirale. Ma queste considerazioni non debbono mettere in ombra l’aspetto semantico di questi temi, derivato in alcuni casi da caratteristiche specifiche dell’animale, come le capacità rigeneratrici del polpo, e legato, più in generale, alla percezione del mare come fonte di vita e nello stesso tempo altro da sé, come l’elemento pericoloso e invivibile per l’uomo che proprio per questo attribuisce agli esseri che vi abitano una speciale condizione ultraterrena. Questa connotazione religiosa dei temi marini sembra confermata anche dai supporti utilizzati, spesso vasi di uso specificamente cultuale come rhytà, e dai contesti in cui essi appaiono; essa inoltre sembra investire anche la sfera funeraria, se, come è stato proposto, viene utilizzata la sepoltura in acqua. Il legame con la figura femminile ha portato a ipotizzare l’esistenza di una Dea del Mare e della navigazione , ipostasi della grande Dea della Natura, rappresentata ora come Potnia Theron (fig.28), ora con un remo in mano (fig.29), ora riposantesi tra le onde (fig.30). Dobbiamo tuttavia rilevare alcune apparenti contraddizioni. Se è vero che la maggior parte delle scene analizzate rientra in ambito cultuale, esse immagini costituiscono nel complesso una percentuale non rilevante dell’immaginario anche religioso di questo periodo: solo il 2% del repertorio sfragistico e di quello in pietra, ancora meno di quello pittorico. Anche i riferimenti al mare sotto forma di conchiglie o ciottoli depositati nei santuari minoici sono nel complesso minimi, rivelando la marginalità di questa componente nell’azione cultuale. All’interno della più ampia sfera religiosa dobbiamo inoltre distinguere da una parte le immagini legate al mondo subacqueo, capostipiti di una tradizione estremamente vitale fino alla fine dell’Età del Bronzo, dall’altra quelle mitologico-narrative, la cui fortuna cessa invece con la fine della cultura neopalaziale.
Probabilmente, in un momento di sviluppo e di ampliamento delle relazioni internazionali, le élites minoiche avvertirono la necessità di rinnovare ed arricchire il sistema di credenze alla base dell’autorità palatina, e nel fare questo dovettero guardare inevitabilmente all’Egitto e alla Mesopotamia (Dobbiamo ricordare comunque quanto diverso fosse il rapporto con l’acqua per l’Egitto e la Mesopotamia, principalmente legati ai fiumi, e le isole dell’Egeo, circondate dal mare. Se per Gilgamesh l’orizzonte è costituito dalle montagne, e il sole scende oltre le montagne per raggiungere le acque sotterranee attraverso le quali torna ad Oriente, per i Cretesi o i Cicladici l’orizzonte è il mare, ed il sole tramonta e sorge dalle acque.). Parte della mitologia che venne elaborata rimase però un fatto elitario, e non avendo profonde radici nell’immaginario popolare scomparve con la fine dei Secondi Palazzi, avvenuta intorno al 1450, probabilmente per una concomitanza di cause naturali, terremoti, e umane, la conquista di Creta ad opera di Micenei. Il Bronzo Medio e Tardo: Le Cicladi e il Continente (2000-1400 a.C.) La ricchezza iconografica di Creta non ha un corrispettivo né in area cicladica né in area elladica durante gran parte del Bronzo Medio, caratterizzato in entrambe le regioni da un generale declino della produzione figurata.
Una eccezione è rappresentata tuttavia da un frammento dipinto da Iolkos, in Tessaglia, e soprattutto da un gruppo di rappresentazioni vascolari da Egina, che raffigurano dei vascelli. Ad Egina le imbarcazioni sono cariche di uomini, in un caso armati di lancia (fig.21), riflesso di una situazione di conflitto e dell’importanza del compito militare della flotta eginetica. Negli esemplari meglio conservati la nave ha carena tonda, probabilmente era priva di chiglia; trasportava 30 o 31 persone, forse rematori, ed era provvista di un ampio timone per contrastare la deriva. Essa doveva essere simile, per Basch, alle piroghe di Douala, in Camerun. Un altro frammento rappresenta un uomo su un pesce31, forse essere divino, forse un personaggio mitico o un orante. Verso la fine del Bronzo Medio e soprattutto all’inizio del Bronzo Tardo si diffonde in ambito vascolare un repertorio figurativo con uccelli, fiori o pesci. Rispetto a Creta le iconografie acquatiche sono in proporzione più numerose e rivelano caratteristiche indipendenti. Mancano i polpi, ma il tema del pescatore ricorre ben due volte, in una pittura da Akrotiri e in un vaso da Melos, e diffuse sono le immagini di delfini e pesci volanti che si trovano oltre che nei vasi, nelle pitture parietali di Kea e di Milos, o nella splendida kymbe ritrovata a Thera. Ma è nella rappresentazione di ampi spazi che il mondo cicladico sopravanza la tradizione cretese. Lo splendido affresco miniaturistico dalla West House di Thera è a tutt’oggi la rappresentazione più complessa ed articolata di un paesaggio con mare.
Lungo le quattro pareti di una stanza, sopra il livello dell’architrave, correva senza interruzione un fregio alto ca. 24 cm.
La lettura del fregio sembra partire dal lato occidentale, estremamente lacunoso, per proseguire in quello settentrionale, dove si distinguono l’incontro su una collina tra due ambasciate, un tentativo di sbarco sulla costa di un’isola, cui fa seguito una marcia di soldati verso l’interno; il lato orientale conserva un tratto di costa con l’entroterra attraversato da un lungo fiume; il fregio meridionale, meglio conservato, rappresenta una parata navale tra due città collocate in due isole differenti (fig.7). Lasciamo stare da parte il problema generale della interpretazione del dipinto (racconto di avvenimenti storici o mitologici, riflesso di una epica preomerica, rappresentazione di una festività del mare, esaltazione simbolica della potenza marinara di Akrotiri) e concentriamoci sugli espedienti rappresentativi. Il mare è uno spazio bianco, nessun artificio viene utilizzato per imitarne la superficie. Le navi sono raffigurate con notevole realismo: si tratta di semplici barche o di vascelli più grandi a scafo tondo, in alcuni casi provvisti di vela quadra, in altri privi di albero. Sono mosse da pagaie e controllate da un timoniere a poppa. Il capitano o i personaggi più importanti sono spesso rappresentati entro una sorta di portantina (gr. ikrion), che ritorna rappresentata a grandezza naturale nelle pitture della medesima casa, oltre che in un frammento da Micene. Le imbarcazioni, specialmente quelle prive di albero, sono state considerate ora l’espressione della tecnologia navale più avanzata in quel periodo, ora invece solo navi da parata non adatte alla navigazione in alto mare. Gli stessi temi analizzati finora si ritrovano nella documentazione dalle Tombe a Fossa di Micene (XVI a.C.) o dalle tombe a tholos del Peloponneso e della Grecia Centrale (XV a.C.). Cambia tuttavia la proporzione tra i diversi soggetti e il loro significato. Animali acquatici appaiono così su lamine a sbalzo da Micene, ridotti tuttavia a semplice elemento decorativo; il polpo continua a rimanere uno dei soggetti preferiti della ceramica di stile palaziale prodotta a Creta e nel Continente, verosimilmente più per l’idea di prestigio che esso aveva acquisito, che per l’originario significato religioso.
Una maggiore pregnanza semantica dovevano avere gli excerpta delle grandi rappresentazioni che si ritrovano su spade ageminate da Vaphiò (naufrago), e le immagini di delfini su quelle di Pharai e Prosymna. Una vera e propria replica delle grandi scene narrative si ha invece in due manufatti, purtroppo in parte frammentari. Si tratta di due frammenti da Epidauro, sempre pertinenti ad un rhytòn, ma questa volta in pietra (fig.8), con scena di sbarco, e di un rhytòn in argento dalla Tomba a Fossa V di Micene, con scena di attacco ad una città. Gli stilemi e le convenzioni iconografiche sono molto simili tra di loro, ed è uguale il tipo di supporto, il rhytòn, un vaso forato destinato alle libagioni, che è spesso decorato da temi marini. Le rappresentazioni di Epidauro e Micene potrebbero rimandare alla funzione del vaso, all’idea di manipolazione di un liquido, ma potrebbero anche essere legate alla funzione del rituale, destinato forse, in questo caso, ad auspici in rapporto con missioni belliche. Si spiegherebbe allora il legame tra gli affreschi della West House e i vasi micenei: essi sarebbero il riflesso di una fase di espansione per mare, un momento di intensi rapporti, talora commerciali, talora conflittuali, con regioni diverse, non sappiamo se collocate all’interno del medesimo mare Egeo o all’esterno di esso. In questa prospettiva, la singolare immagine di un cavallo sopra o accanto ad una nave conservata in una cretula dallo strato di distruzione dell’ultima fase del palazzo di Cnosso potrebbe alludere, più che a Poseidon o alla Potnia Ippia, al trasporto dei guerrieri micenei alla conquista di Creta (fig.32).
Domani la 2° parte...e altre 10 immagini
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