Sherlock Holmes e John Watson erano legati da più di una semplice amicizia, secondo i taccuini confidenziali ritrovati da Rohase Piercy che gettano nuova luce non solo sulla vita privata del grande detective ma anche sulle circostanze della sua "morte" alle Cascate Reichenbach. In questo libro Holmes è impegnato dapprima a indagare sul caso dell'Ape Regina, una ricattatrice che fa tremare l'Inghilterra vittoriana. Nel corso di tale avventura Watson non sentendosi sentimentalmente corrisposto dall'amico, decide di sposarsi abbandonando Baker Street. Succesivamente Holmes, mentre si prepara all'estremo duello con Moriarty, "Il Napoleone del crimine", ricorre di nuovo a Watson il quale, nei tacquini ora ritrovati, svela inediti retroscena del "problema finale" e del drammatico "ritorno" dell'amico. Intorno a queste avventure si dipana il dramma romantico che spingerà infine Watson a dichiararsi all'amico detective, proprio mentre in Inghilterra infuria lo scandalo omosessuale che porterà alla condanna di Oscar Wilde.
La Recensione
Adoro i prequel/sequel/spin-off e quant'altro prolunghi il piacere di leggere i miei romanzi preferiti raccontandone retroscena o punti di vista alternativi, a patto che venga rispettato lo spirito del romanzo originale. Per questo mi sono avvicinata con curiosità mista a diffidenza a questa rilettura delle avventure di Sherlock Holmes in chiave romantica. Chiunque abbia una qualche familiarità con il grande detective, infatti, conosce la sua indole distaccata e la quasi totale indifferenza verso le relazioni interpersonali ed in particolare quelle amorose, tanto che il cuo creatore, Conan Doyle, osservò divertito che "Holmes ha la stessa umanità di un calcolatore e la stessa probabilità di innamorarsi". Per spiegare il suo carattere freddo e solitario lettori e critici nel corso degli anni hanno scomodato disturbi maniaco-depressivi o addirittura la sindrome di Asperger, Rohase Percy invece opta per una soluzione più terra-terra e suggerisce che dietro l'atteggiamento controllato e razionale di Holmes si celassero profondi quanto repressi sentimenti verso l'inseparabile Watson. L'ipotesi non è così peregrina né scandalosa, considerando che nell'Inghilterra di fine '800 per comportamenti manifestamente omosessuali si finiva ai lavori forzati (avete presente la fine del povero Oscar Wilde?), tuttavia qualcosa nell'idea che dietro una stretta amicizia debba per forza esserci un coinvolgimento sentimentale mi fa pensare che più che di letteratura ci stiamo occupando di pettegolezzi da portinaia, con il rischio di rasformare il romanzo in una parodia. Questo è un po' quello che accade nel primo dei due episodi in cui è suddiviso Mio diletto Holmes. Il romanzo si basa sull'idea che l'autrice abbia rinvenuto degli appunti riservati che Dr Watson, appunti relativi ad alcune avventure di Sherlock Holmes che l'amico non si era sentito di pubblicare insieme alle altre avventure del celebre investigatore perché inadatte al pubblico puritano dell'epoca. Watson avrebbe quindi affidato le sue annotazioni ai posteri con l'idea di gettare una nuova luce sul carattere dell'amico. Il primo dei due racconti si colloca nelle fasi iniziali della carriera di Holmes e lo vede affrontare il caso della sparizione di una donna coinvolta suo malgrado in un ricatto. La trama gialla è in realtà poco più che una scusa per permettere all'autrice di raccontarci gli struggimenti sentimentali del povero Watson attraverso le parole dello stesso dottore, il quale, più simile ad un'adolescente innamorata che ad uomo adulto, si tormenta nel suo amore apparentemente non corrisposto verso l'amico. Mentre i pezzi per risolvere il puzzle vengono distrattamente seminati per il racconto in modo tale che anche il più cieco dei lettori lo possa risolvere (esattamente il contrario di quanto avveniva nei romanzi originali di Conan Doyle), l'autrice si concentra sul dramma amoroso dipingendo un Watson un po' troppo melodrammatico che, confome alla sua fama di uomo onesto ma un po' ingenuo e sventato, sfoga i propri tormenti con chiunque gli capiti a tiro, in barba a qualunque logica di discrezione. E' questo l'elemento più debole e tratti ridicolo del racconto, che per altri versi si dimostra comunque originale ed interessante: in un'epoca in cui l'omosessualità è ancora un tabù e il governo sta varando una legge per incarcerare chiunque venga sorpreso in atteggiamenti "compromettenti", in nostro Watson si fa dare consigli sentimentali da un'illustre sconosciuta la quale, a sua volta, porta avanti una felice convivenza con un'altra donna nell'indifferenza di amici, parenti e servitori. L'autrice ci presenta un mondo in cui tutti sono a conoscenza dell'omosessualità di tutti ma il fatto che un uomo possa avere un figlio illegittimo è fonte di scandalo e rovina per i protagonisti della vicenda. Mi è parso sinceramente poco credibile vedere Holmes concedersi con una cliente esplicite e ammiccanti allusioni alla relazione di quest'ultima con un'altra donna ma al tempo stesso ritenere troppo scandaloso affrontare esplicitamente l'argomento di un figlio illegittimo, così come ho trovato assurdo che un nobiluomo parlasse della relazione omosessuale di una sua vecchia fidanzata con paterna bonarietà. Un altro elemento che toglie un po' di credibilità al racconto è il fatto che la Piercy non sembra molto adatta a gestire la narrazione da un punto di vista maschile; per quanto il romanzo sia ben scritto e ci sia uno sforzo di riprodurre uno stile ottocentesco, i vocaboli utilizzati sembrano appartenere più ad una Jane Austen che a un Conan Doyle.Sicuramente il romanzo migliora nella seconda parte nella quale l'autrice, sempre tramite le parole del Dr Watson, riprende il celebre ultimo duello tra Shelock Holmes ed il suo più pericoloso antagonista, il Dr Moriarty, conclusosi con l'apparente morte del detective. La Piercy sembra decisamente a suo agio nel narrare il terribile colpo subito da Watson di fronte alla morte dell'amato, la malattia che ne consegue e l'apatia con cui egli sembra trascinarsi nella vita fino alla scoperta che l'amico è ancora vivo e vegeto e da anni vive nascosto all'estero. Dolore, senso di abbandono, speranza e rabbia travolgono Watson e con lui il lettore che finalmente viene coinvolto in modo efficace e sincero nella vicenda. Ciò che invece ancora sfugge, sia ai lettore e all'autrice è la figura di Holmes a cui viene dato un po' più di spazio e consistenza rispetto all'episodio precedente ma che nel complesso elude la presa dell'autrice, muto (letteralmente) e indecifrabile più del solito. In definitiva si ha la sensazione che la Piercy venga messa in soggezione dall'uomo di cui avrebbe voluto svelare i più intimi segreti cosìcchè ogni volta che tenta di infilarlo nel romanzo non fa altro che dipingere una macchietta che si comporta come ci si aspetta Holmes si dovrebbe comportare (suona il violino, consuma chili di cocaina, si chiude in lunghi silenzi) ma che di fatto non è che un'ombra del celebre investigatore.
Giudizio: +3stelle+
Articolo di ValettaDettagli del libro
- Titolo: Mio diletto Holmes
- Titolo originale: My dearest Holmes
- Autore: Rohase Piercy
- Traduttore: Chiara Rolandelli
- Editore: Tre Editori
- Data di Pubblicazione: 30 Nov 2011
- ISBN-13: 9788886755603
- Pagine: 180
- Formato - Prezzo: brossura - Euro16,90