Magazine Diario personale
A Mio Nonno
Son quasi cinquant'anni, e sembra un giorno,
trenta dicembre 'novecentosei,
tu partisti per vie senza ritorno
ma sempre torni nei pensieri miei.
Coloro cui tu a lungo prodigasti
agi, ricchezze, benefici, doni,
ti hanno scordato; quanto tu lasciasti
spartito fu tra liti e discussioni.
Promisero di farti un monumento,
una cappella accanto al crematorio
e ancora lì è la lastra di cemento
col nome e con la scritta "provvisorio".
Tu non marcisti già dentro una fossa,
nell'urna le tue ceneri tu adagi,
non si rivolteranno le tue ossa
per colpa dei dimentichi o malvagi.
Pur dell'edera in rame ch'io deposi
a te daccanto, ti hanno depredato,
ma tu non soffri, in pace tu riposi
nella bella città dov'eri nato.
Là dove si cullò l'infanzia mia,
un'infanzia felice per davvero,
là dove, se mi assal malinconia,
spesso ritorno col pensiero,
e mi ritrovo a te e alla nonna accanto
nel bel palazzo dalle adorne sale
o nella villa: frutti, fiori, incanto, trilli d'uccelli, strilli di cicale.
Rivedo i luoghi che prediligevi,
lo studio, la poltrona del salone,
la panchina in giardino, ove sedevi
a narrarmi del topo e del leone.
La folla ci vedeva ogni mattino
per mano lieti andare insieme a spasso,
fiero io del nonno, tu del nipotino
che sgambettava per tenere il passo.
E tutti con sorrisi, lodi, onori
s'inchinavano quasi al mio cammino;
si sa, chi vuol dare al re qualche favore
comincia a propiziarsi il principino.
Ancora, nonno, il gesto tuo ravviso
quando, col fazzoletto immacolato,
su me chinavi ad asciugarmi il viso
dalla saliva altrui contaminato.
Ho avuto da te sempre tutto quello
che un cuor di nonno ad un bimbo può donare,
ma il dono più sperato, il dono bello,
quello la sorte mi volle negare:
troppo presto mancasti. Non amato
dai parenti, versai su nonna sola
l'affetto che già avevo a te portato.
Fui un bambino bravo, diligente a scuola,
che sognava un magnifico destino
solo per onorar la tua memoria.
Fu invece un melanconico cammino,
molte disillusioni, poca gloria;
troppi gli errori, troppe le sventure,
mi invecchiarono più dell'età mia,
della famiglia ancor, le gioie pure,
turbarono la guerra e la prigionia.
Come le barzellette che rammento
che son trascorse e non diverton più,
anch'io sono un trascorso, anch'io ben sento
che nella società sono un di più.
Perciò vorrei tornare come allora,
cancellare il passato e sai perché?
Perché mi sembra nonno giunta l'ora
di venire a riprendermi con te.
Ritorneremo insieme, nell'incanto
d'arcana luce, con serenità,
cammineremo l'uno accanto all'altro
lungo i sentieri dell'eternità.
Ugo Cermenati (1896 - 1963)