Quando ero un ragazzino il gesto di schiacciare le noci aveva un preciso valore simbolico. Così, quando il cesto con le noci raggiungeva il centro della tavola, al termine della cena, o in un’estemporanea ricreazione pomeridiana, un’occasione conviviale diventava un rituale della virilità. Gli uomini della tavola concedevano l’uso dello schiaccianoci ai più piccoli, mentre loro si adoperavano per mostrare i modi più fantasiosi per scardinare il guscio ed estrarre il gheriglio. I più forti univano due noci nel palmo della mano e le schiacciavano entrambe come in una morsa, le ossa e in nervi della mano si contraevano, le dure cortecce dei frutti secchi crepitavano. Chi era abile col coltello invece incideva la noce nel punto di contatto fra le due parti speculari che compongono il guscio, poi imprimevano al coltello una leggera rotazione e la noce si apriva in due. In questo modo, una volta svuotati, i due emisferi legnosi diventavano due scafi perfetti da far galleggiare sul pelo d’acqua di una fontana. Mio nonno, che era un uomo forte e maestoso, schiacciava le noci a due a due. La noce è durissima, è come il diamante, diceva, che si taglia solo con un altro diamante. A mio nonno avrei potuto attribuire i versi della poesia di Norman MacCaig, “sempre di più, con l’età, odio le metafore – la loro rigidità la loro inadeguatezza”. Però è grazie alle sue metafore se in casa mia i gusci delle noci si tramutavano in navi di diamanti.
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Norman MacCaig, NON C’È SCELTA
Penso a te
nei vari modi in cui la pioggia scende.
(sempre di più, con l’età,
odio le metafore – la loro rigidità
la loro inadeguatezza.)
A volte questi pensieri sono
pioggerellina, appena percettibile, niente
di più leggero:
a volte uno scroscio battente, una
solerte pulizia primaverile della mente:
a volte, un terribile temporale.
Sempre di più, con l’età,
odio le metafore,
amo la leggerezza,
temo i temporali.