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Mirabassi Renzi Zigmund

Creato il 28 giugno 2011 da Lobeta
Mirabassi Renzi Zigmund
Mirabassi Renzi ZigmundRoma, Casa del Jazz27 giugno 2011
Giovanni Mirabassi, pianoforteGialuca Renzi, contrabbassoEliot Zigmund, batteria
Sono le note di “Waltz For Debbie”, di “How My Heart Sings”, di “Nardis” a riportarci al pianismo lirico e sofferto dell’indimenticato Bill Evans. E’ a questo grande interprete e compositore che, infatti, è dedicata la serata qui al Parco della Casa del Jazz.
Così che ci troviamo ad ascoltare la versione che di questi e altri temi ci viene proposta da Giovanni Mirabassi, artista perugino, classe 1970 da tempo residente oltralpe, da Gianluca Renzi, Frosinone 1975, anche lui molto vicino alla sensibilità evansiana, con riferimenti soprattutto al suo bassista di sempre, Eddie Gomez e infine di Eliot Zigmund, un maestro di classe 1945, che con Bill Evans ha suonato, ed in varie occasioni (“Affinity”, “I Will Say Goodbye” tanto per citare qualche titolo).
Molto classe, indubbiamente, la lezione di Evans è assai presente nell’approccio e nell’intenzione di questo trio. Eleganza, rigore, misura, ricerca di una bellezza formale e sostanziale. Il pubblico, non troppo numeroso in verità, ha modo di apprezzare un jazz affatto scontato che fa della finezza il proprio elemento portante.
L’elegante dipanarsi del pianismo di Mirabassi ben si compenetra all’approccio più appassionato di Renzi. Sullo sfondo una batteria sempre presente che chiude, idealmente il cerchio.
Non me ne vogliano questi tre ottimi artisti se mi permetto di affermare, comunque, che i tempi di Bill Evans sono lontani. Le odierne interpretazioni sono altra cosa rispetto alle “di allora” invenzioni.
Bill Evans, John Coltrane, Miles Davis tracciavano una strada mai prima percorsa; mentre oggi ci troviamo quasi sempre di fronte a rielaborazioni di quelle idee. E la differenza, comprenderete bene, è tanta.
Varrebbe sempre la pena, a mio avviso, di riflettere sul ruolo che aveva l’arte allora rispetto a quello che ha oggi. E forse potremmo capire perché, da questi tempi inquieti e desolati, non ci si possa attendere di più.

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