Miracolo a Le Havre, intervista ad Aki Kaurismäki

Creato il 25 gennaio 2012 da Nouvellepunk

Miracolo a Le Havre

Come é nata l’idea di Miracolo a Le Havre? Dalla terribile situazione che attraversano le persone che lasciano il loro paese d’origine? O semplicemente aveva voglia di girare un altro film in Francia

Aki Kaurismäki: L’idea mi venne anni fa, peró non sapevo dove girare il film. In realtá, la storia poteva essere ambientata in qualsiasi paese d’Europa, tranne che nel Vaticano, o forse lì piú che in nessun altro posto. Per logica avrei dovuto girarla in Gracia, in Italia o in Spagna perché sono i tre paesi dove la pressione é maggiore. Percorsi tutta la costa da Genova all’Olanda e scoprí ció che volevo nella cittá del blues, del soul e del rock and roll: Le Havre

Il motto della Francia é “Liberté, égalité, fraternité“. A me sembra che delle tre parole lei sia rimasto solo con l’ultima, la fratellanza.

Le altre due sono sempre state troppo ottimiste. Peró la fratellanza si trova da qualsiasi parte, anche in Francia. 

La fratellanza che c’é tra gli abitanti del quartiere dei pescatori di Le havre salva il ragazzo, peró questo non esiste nella vita reale, vero?

Spero che esista, altrimenti stiamo giá vivendo nella societá delle formiche come la chiamava Ingmar Bergman.

Ho la sensazione che piú il mondo diventa violento, piú cresce la sua fede nell’essere umano. É diventato disperatamente ottimista?

Mi é sempre piaciuta piú la versione del racconto in cui Cappuccetto Rosso mangia il lupo, peró nella vita reale preferisco i lupi agli uomini pallidi di Wall Street.

Parló con degli immigranti per scrivere la sceneggiatura?

In questa occasione no, ma in passato certamente. 

Ha scelto un adolescente africano per simbolizzare l’emigrazione. Considera la gioventú un simbolo di speranza?

Non ci sono simboli nel mio cinema, ma in generale confido nei giovani piú che nelle persone della mia etá, ma questo non é molto. Peró mi sono fidato senza dubbio di Blondin Miguel, l’attore che interpreta il ragazzo. 

In questo film, ha ampliato la sua cerchia di attori. C’é Jean-Pierre Darroussin, per esempio. Ma si ha la sensazione che ha sempre fatto parte della sua famiglia.

Ovvio, c’é sempre stato, peró fino ad ora non l’avevo lasciato lavorare davanti alle telecamere. Si limitava a racogliere, pulire queste cose….

Fu una problema dirigere attori francesi?

Solo un privilegio.

Come in The Bohemian Life (1992), sembra cercare la Francia eterna e immutabile del dopoguerra, degli anni cinquanta. Ha nostalgia per questa epoca?

No, peró sono lento. L’architettura moderna mi dá fastidio agli occhi. Adesso gli anni sessanta iniziano a sembrarmi eleganti… a volte. Per fotuna c’é un passato. 



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