Massimo Pizzoglio per il Simplicissimus
“Sfortunato il popolo che ha bisogno di fessi”.
Certo che noi italiani non riusciamo proprio a non saltare, a parole ovviamente, da un estremo all’altro.
Fino a tre mesi fa l’unico complimento che ci faceva piacere, soprattutto se politici, era essere considerati “furbi”, oggi pare che sia molto trendy autodefinirsi “fessi”.
Lo dice apertamente Emiliano per difendersi dall’accusa di corruzione delle cozze pelose, lo dice Rutelli, e nessuno ha nulla da obiettare, lo dice persino l’antagonista Lusi, che in realtà si definisce coglione (termine usato dall’ultimo premier sedicente “furbo” proprio per dare un termine di paragone opposto) per giustificare un sistema che l’aveva portato, suo malgrado, a sottrarre quelle poche decine di milioni che gli servivano per le spesucce.
Non lo dichiara, ma lo dimostra, anche il viceministro dell’economia Polillo, a cui Vianello chiede cosa pensano di fare della Rai al governo, e lui risponde che non lo sa, deciderà Monti; all’insistenza del giornalista, replica che non se ne è occupato, che non sono fatti suoi.
Facendo, appunto, la figura del fesso.
Tecnico, ma fesso.
C’è una frase, ma che esce come una parola sola, molto usata in napoletano:
“a chi vuo fa fess” che cambia connotazione a seconda di dove la si accenta, con la profondità che solo certe forme dialettali hanno.
Se la si accenta sul “chi”, da bisdrucciola, connota offesa e sfida: accompagnata dalla gestualità delle mani, rivolte a sé, vuol dire: tu dai del fesso a me? e sai quali saranno le conseguenze?
Se la si accenta sul “vuò”, sdrucciola, e si indica con la mano l’interlocutore, vuol dire: tu, incapace, non puoi far fesso nessuno.
Se la si accenta sul “féss”, tronca, e si allargano le mani stringendo la testa tra le spalle con un sorriso accondiscendente, vuol dire: che vuoi, oggi si dice così, ma tanto, chi ci crede?
Quest’ultima è, purtroppo, la reazione standard degli italiani ai comportamenti di questi governanti in odore di “fesseria”, il “ma tanto si sa che va così”, “tanto sono tutti uguali”…
E poi finisce lì.
Io preferirei la prima reazione, senza “guapperia” ovviamente, ma di indignazione e di sfida:
vorrei vederle quelle dita puntate contro i fessi con una vascata di spigole e vorrei che se ne ricordassero nella cabina elettorale (qualunque sia la legge elettorale! senza scuse).
Sì, vorrei un’Italia più bisdrucciola!