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di Rina Brundu. Buca lo schermo: questo bisogna ammetterlo! Buca lo schermo anche nella versione attempata, mento largo stile commissario Basettoni, voce suadente dell’amico più saggio della porta accanto, atteggiamento “confident” da fratello maggiore o compaesano che ha fatto fortuna e che in virtù dei suoi indiscutibili meriti si è conquistato il diritto di parlare. E di essere ascoltato! Le note “stonate” nella picture-perfect del Flavio Briatore di questi tempi, le noti quando il manager si avventura in discorsi più complicati laddove l’usata dialettica-imprenditoriale emerge come pezzi tostati di pan secco restii ad affogarsi e ad ammorbidirsi completamente nel cafféllatte. Le “zampate” arrivano invece nascoste nel discorso ma arrivano; dentro ogni costrutto accidentale; dentro ogni inciso anche solamente accarezzato; dentro ogni frase buttata lì nel discorso come senza troppo pensare. E queste zampate danzano tutte quante seguendo il ritmo di un singolo, usato, jingle: io vivo all’estero, sono vent’anni che voi (nda italiani) parlate senza nulla fare, quest’Italia non può essere capita oltre frontiera. Paradossalmente, il ritmo che vuole essere cosmopolita si rivela quanto mai latino, nostrano, e quasi ti pare di conoscerlo a memoria il discorsetto-patronizing che vive nel sottofondo: voi (italiani) siete una cosa, io sono altro.
Come spesso accade chi troppo vuole nulla stringe, anche nel caso dell’imprenditore di successo che si presenta “too confident”. Così Briatore esagera e – dopo avere consultato il tablet che tiene in grembo per tutto il tempo – pronuncia frasi come: “La legge elettorale? La gente ha altri problemi!”, “La gente che perde il lavoro”, “La gente che non arriva a fine mese”. Quale gente?, ti viene subito da domandarti: quella dei consigli di amministrazione della formula uno, o quella dei consigli di amministrazione delle potentissime industrie che sponsorizzavano quello sport a suon di miliardi, e che Briatore conosce – appunto – molto bene? Quale è l’altra gente di cui sta parlando Briatore? Oltre me il dubbio deve avere assillato anche altri, incluso il solitamente pacato Vauro che alla fine è esploso: “Sono in corto circuito: vengo qui, e vedo Briatore che viene anche giustamente applaudito e che ci parla di chi non arriva alla fine del mese: ma lei che ne sa di chi non arriva alla fine del mese? Ma è possibile che siano sempre i milionari, prima Berlusconi, poi Grillo, adesso Briatore che vengono qui a farci la predica, a sparlare della politica che era l’unico strumento che avevamo a disposizione per far sentire la voce dei cittadini?”.
Nel pseudo-alterco che ne è seguito (moderato da un Santoro insolitamente agitato: che temesse di non essere invitato sullo yacht dell’ultramondano ospite dopo essere già salito su quello di Della Valle?), Vauro e Briatore si scoprono entrambi figli di un’origine modesta, entrambi figli di genitori che facevano gli insegnanti. La differenza è che Vauro è rimasto povero, mentre Briatore si è arricchito. La differenza – ha aggiunto Briatore – è che lui (Briatore) ha sempre creato posti di lavoro e non ha licenziato nessuno: Vauro no! Pareva di ascoltare l’eco di un dibattito avvenuto milioni di anni fa, prima che una qualche glaciazione o un meteorite nefasto avesse distrutto la vita sulla terra così come la conoscevamo. Pareva di sentire un obsoleto discorso proponente il tema comunismo vs capitalismo, istruito a forza per mascherare il niente-incapace-di-dare-risposte-costruttive del presente, il niente mascherato da retorica-manageriale ingombrante e figlia di colpe anche collettive gravissime, il niente figlio di un’illusione ideologica che ha portato più bene che male. Risultato: 1 – 1 e palla al centro, come sempre accade nell’italietta piagnona e cerca-capri-espiatori prima di finirla a tarallucci e vino.
Insomma, Vauro non ha perso e Briatore non ha vinto. Non ha vinto ma come dicevo nell’incipit, questo self-made-man(?) buca ancora lo schermo: per esempio, lo consiglierei a Grillo come Responsabile della Comunicazione del Movimento al posto di Rocco Casalino. O meglio, lo consiglierei se il candidato ideale per quella posizione non fosse il Marco Travaglio del sermone giornalistico prodotto in quella stessa puntata e riguardante lo scandalo dl IMU-Bankitalia. Brillante la sua ricostruzione in salsa politica da coitus-interruptus (parole sue), che hanno portato Santuzza Boldrini (sempre parole sue) ad optare per l’utilizzo della “ghigliottina” alla Camera dei Deputati. Naturalmente – da professionista navigato – ha continuato a mischiare per tutto il tempo il giusto con il vero, l’opinabile con il decisamente esagerato, il discutibile con l’incredibile. Per non parlare poi dell’occhio oggettivamente “tenero” verso i comportamenti dei “cittadini”.
Detto questo un risultato l’ennesimo ispirato sermone travaglico lo ha ottenuto certamente: ovvero ha dimostrato in maniera chiara che le parole, i costrutti, le frasi, i discorsi hanno valenze multiple: di segno, di significato; hanno valore estetico e valore didattico, hanno un peso e possono fare la differenza tra la vittoria e il fallimento. Sembra una sciocchezza eppure stà tutto lì; un politico e un manager questo dovrebbero saperlo bene, a qualunque parrocchia appartenga il primo e di qualunque “size” sia lo yacht parcheggiato al largo (spesso nascosto alla Guardia di Finanza), del secondo.
You-Tube Link al brillante intervento di Travaglio.
Featured images, screenshots da Servizio Pubblico del 06.02.2014 “La ghigliottina”.
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