Questo per dare l’idea di ciò che si pensa all’interno del mondo sindacale FIOM (il sindacato, l’unico, ancora dalla parte dei lavoratori).
Continuiamo: l’intesa, che ha ricevuto il via libera delle altre sigle (Fim, Uilm, Ugl e Fismic) prevede una serie di regole che vanno dall’orario di lavoro alle assenze per malattia. Ma la novità più importante è che, con l’uscita da Confindustria, la NewCo che sorgerà dalle ceneri di Mirafiori non sarà più obbligata a riconoscere il contratto nazionale siglato con Federmeccanica. E così potrà anche abolire le relazioni sindacali stabilite dall’intesa tra industriali e sindacati confederali nel 1993, che prevede il diritto dei lavoratori di uno stabilimento di eleggere autonomamente i propri rappresentanti (che vanno a formare le Rappresentanze sindacali unitarie). Nella nuova azienda avranno voce in capitolo solo gli esponenti eletti da quei sindacati che hanno firmato l’intesa. E qui, per la FIOM, casca l’asino. Secondo Cremaschi, il patto di Mirafiori è il segno tangibile dell’avanzata dell’autoritarismo. Il patto di Mirafiori è stato però accolto in maniera positiva da molti ambienti politici e sindacali. A partire da Uilm e Fim-Cisl che, al contrario della Fiom, hanno firmato il documento, passando per il premier che ha parlato di accordo “innovativo, storico e positivo”, fino ad alcuni (molti, forse troppi) esponenti del Partito Democratico. Ottimo. Benino. Inaccettabile. E se fosse… Tre posizioni (o trecento) sono peggio che una.Se il giuslavorista Pietro Ichino,senatore del Pd, quasi si mette a fare salti di gioia auspicando che la Fiom adesso non si trasformi in un «maxi-Cobas», il sindaco Sergio Chiamparino, pur arrivando a dire che «si tratta di un’intesa positiva non solo per la fabbrica ma per l’interà città», fuori tempo massimo – e con il sottofondo di Piero Fassino – ha almeno il buon cuore di
Ma la sintesi, come si conviene ad ogni segretario che si rispetti, tocca a Bersani, che cerca invano di non perdere l’equilibrio su un’infilata di se e anche : «L’iniziativa della Fiat è molto forte. Se porterà, come spero, a sollecitare una riforma, che ci vuole, dei meccanismi di partecipazione e di rappresentanza del mondo del lavoro, sarà un fatto che avrà un esito buono; se invece porterà, come è anche possibile, ad una disarticolazione dei rapporti sociali, allora sarà un fatto molto negativo». Morale? «Ne discuta il parlamento».
Insomma, forse è poco per immaginare il primo partito dell’opposizione impegnato a contrastare un accordo che, per dirla con Susanna Camusso, non un Cobas, significa un ritorno agli anni Cinquanta (ma senza i ’60 alle porte).