2010: Miral di Julian Schnabel
Presentato alla 67ma Mostra Veneziana dove gli applausi (scarsi) della stampa si sono mischiati a qualche fischio.
Julian Schnabel si era affermato qualche anno fa a Cannes con Lo scafandro e la farfalla, film che aveva entusiasmato la critica ma che personalmente non avevo molto apprezzato: ne avevo ammirato il virtuosismo estetico e l’alta qualità visiva (il regista è anche un famoso pittore), senza sentirmi però emozionato né coinvolto. Giudizio che confermo anche per questa sua ultima realizzazione.
In Miral abbiamo la storia di quattro donne le cui vicende s’innestano nel conflitto arabo-israeliano di cui il film illustra la nascita e l’evolversi (fino agli accordi di Oslo del 93). Il tema è naturalmente di vivissima attualità e non può non interessare ma il film, in quanto film, non soddisfa: se un lungometraggio di 112 minuti appare eccessivamente lungo e sembra non finire mai… vuol dire che qualcosa non funziona. Le quattro storie rimangono quattro storie separate, alcune più approfondite altre meno, senza mai amalgamarsi: l’impressione è di assistere a quattro film diversi che trattano lo stesso tema. I ritratti delle protagoniste risultano alquanto superficiali: tranne la madre alcolista (bel personaggio problematico dalle tante sfaccettature) sembrano marionette illustranti delle tesi, non figure umane e reali. Il risultato è che non ci si sente compartecipi con quanto ci viene raccontato: si rimane freddi spettatori di un dramma che dovrebbe appassionarci e sconvolgerci (giustamente Giancarlo Zappoli rimprovera al film un eccesso di didascalismo “senza che alcuno scatto narrativo ci aiuti ad entrare ‘dentro’ le diverse storie”). Non mancano scene cinematograficamente di grande effetto (la bomba nel cinema, il suicidio in mare…) ma rimangono isolate nel gelido di uno spettacolo che continuamente corre il rischio di non attirare l’attenzione del pubblico e, a volte, di annoiarlo.
All’indomani della presentazione al festival veneziano, i giudizi della critica sono stati pessimi: “Superficiale, retorico e kitsch” (Il Corriere della Sera), “Film piatto e pretenzioso” (Il Riformista), “Dialoghi impossibili che tentano di riassumere in modo meccanico e didascalico la storia di Israele e della Palestina. Scritto malissimo, il film è girato forse peggio, con stile inutilmente «poetico» e sfondoni clamorosi” (L’Unità), “Tutto è monocorde, ovvio, scoraggiante. Una vera noia” (Le Monde).
Sprecato l’illustre cast di cui il film si onora, cast a cui non si dà la possibilità di mostrare il riconosciuto talento. Hiam Abbas (sicuramente una delle attrici più intense che il grande schermo possa oggi vantare) sembra per una mezz’ora la protagonista, ma poi scompare quasi del tutto. La grande Vanessa Redgrave appare per soli due minuti, il che naturalmente grida vendetta. Willem Dafoe è una presenza del tutto superflua. Freida Pinto (lanciatissima dopo The Millionaire) campeggia nell’ultima parte del film ma non cattura.
Miral è dedicato a quanti (sono parole di Schnabel) “in quella terra, schiacciato tra gli arabi radicali e gli ebrei fondamentalisti, non ne vuole più sapere di violenza e di odio”. Intento lodevolissimo. Peccato.
p.s.
Il film è tratto dal romanzo autobiografico della attuale compagna del regista, la giornalista Rula Jebreal (nota in Italia per le sue collaborazioni con La7 e con Michele Santoro in Anno Zero).
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