Pochi giorni fa c’è stato un flash-mob davanti alla sede della Rai di Milano. Hanno partecipato tantissime donne stufe di un servizio pubblico che non ancora in grado di rappresentare il femminile nella sua interezza e di offrire modelli di riferimento per le giovani generazioni di donne.
Questo concorso, trampolino di lancio per quelle che desiderano un modo piu’ veloce per fare successo in tv, va avanti sulla Rai da ormai sessant’anni e ha privato di un forte modello femminile di riferimento intere generazioni di donne . Questo danno ha contribuito al problema della rappresentanza femminile nel nostro Paese: discriminate (o autodiscriminate) perché non percepite.
Ogni Paese del mondo organizza un concorso di bellezza nazionale, ma nessuno di loro dedica cinque serate in tv né lo esalta come se fosse una manifestazione importante. Questo accade nel nostro Paese che non a caso è il più arretrato per quanto riguarda questioni di genere, un Paese che ancora identifica il femminile con la bellezza estetica lanciando due messaggi pericolosissimi: il primo è rischiare di lanciare un modello estetico unico caratterizzato da canoni estetici rigidi, fascisti, il secondo ancora più grave è il messaggio che lancia alle nuove generazioni: tu puoi fare successo solo se sei bella o in campi (o mansioni) che hanno a che richiedono la bellezza: come la velina o donna dello spettacolo.
Ciò significa che noi non siamo contro Miss Italia in sè ma contro l’importanza che il nostro Paese dà ad un concorso di bellezza come un altro. La gravità del fatto è che per dare visibilità all’esibizione annuale di corpi femminili come merce da esibire, si utilizzano i soldi pubblici dei cittadini che invece andrebbero spesi per una programmazione non solo gender friendly ma anche meno faziosa.
E gli indici Auditel non contano. Nessuno ha chiesto se agli italiani piace quello che vedono in tv. Vedo spesso in giro gente sempre più stufa di questa televisione così vecchia. E Miss Italia fa parte di una programmazione preistorica, dove da una parte si esibisce il corpo femminile come oggetto del desiderio, dall’altra viene “coperto” perché è peccaminoso, dando un’idea-sopratutto quest’anno- di sapore anni ’50.
A questo stile televisivo siamo abituati da anni, un processo schizofrenico di immagini iper-sessualizzate contrastate dall’eccesso di bigottismo che proviene dai salotti televisivi targati Rai, LA7 e Mediaset, i quali ricordano alle ragazze che fare la velina, avere il nome uguale ad una pornostar, perdere la verginità o vestire in abiti succinti è immorale (come ricorda la Mirigliani a Belen) e dall’altra ti propinano quei modelli, coprendoli e scoprendoli a loro piacimento in base all’interpretazione che hanno avuto sulla nostra indignazione generale verso i modelli proposti.
Insomma, bigotte, moraliste, femministe anni ’70, come afferma la Mirigliani dopo la manifestazione che si è tenuta prima della finale Miss Italia. “Un femminismo anni 70′ senza senso”, parole di chi non ha mai letto i nostri blog per scoprire che la condizione femminile dagli anni settanta è cambiata poco, come dimostra la presenza del suo concorso in tv (su cui lei guadagna palate di soldi), vecchio ma proposto assurdamente ogni anno, come se resuscitassero la salma di Mike Bongiorno per riproporci il Rischiatutto.