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La musica, quella vera e fatta con passione, a volte ha la capacità di scavare a fondo, di raggiungere l’anima e di infiltrarcisi, come una contaminazione, una benigna infezione che si avvinghia alle sensazioni e resta lì in attesa, pronta a comparire al momento giusto...
Qualcuno si ricorderà sicuramente dei Soon, band pop-rock italiana che con un paio di dischi a metà degli anni ’90 (“Scintille” del 1995 e “Spirale” del 1997) si guadagnò un piccolo periodo di popolarità soprattutto tra i più giovani con canzoni briose dai ritornelli orecchiabili in perfetto stile Festivalbar; un’esperienza breve che non ebbe seguito quella dei Soon, ma che permise a Odette Di Maio, voce e anima del gruppo, di mettere le basi per una carriera fatta finora per lo più di collaborazioni, non ultima quella con i Bedroom Rockers per la colonna sonora di C.S.I. Miami. Nel 2004 la cantante di Torre del Greco conosce quasi per caso il musicista e produttore belga Jan De Block, insieme al quale, con il passare degli anni, crea un’intesa. Da questa intesa nascono i Miss O, duo “a distanza” sull’asse Belgio-Italia che grazie ad internet riesce a portare avanti un progetto musicale che si rifà a sonorità anni ’90, tra il pop e il trip hop, immergendole in un’atmosfera più soffusa che a tratti ricorda colonne sonore di Lynchiana memoria. Lungo la fibra ottica Odette e Jan compongono, arrangiano e perfezionano il materiale per l’album di debutto ufficiale dei Miss O, pubblicato nel maggio di quest’anno.
È una storia particolare quella di “Infection” – questo il titolo dell’album -, sia per la genesi a distanza, sia per alcune peculiarità “astrologiche” se così le vogliamo chiamare: ognuna delle 13 canzoni che compongono l’album è infatti ispirata ad una precisa costellazione ed è stata registrata in giorni ben precisi calcolati in base allo spostamento dei corpi celesti dalla stessa Di Maio, e per di più le registrazioni si sono svolte nel Green Velvet Studio, un luogo avvolto dal mistero ed immerso nel verde nelle vicinanze di Opwijk, in Belgio. Se sia una sorta di superstizione, un semplice capriccio da artista o altro ancora poco importa, certo è che scelte talmente particolari suscitano curiosità e contribuiscono a creare una sorta di ambientazione per l’album, ed in un certo senso ad introdurlo, un po’ come un prologo che chiarisce da subito che il taglio della musica è quello delle sonorità sognanti, di ambientazioni quasi mistiche come succede con una certa branca dell’ambient di provenienza nordica.
Già dalle prime note di “In motion” infatti, il contesto assume le precise sembianze di una baita solitaria nel bel mezzo di un bosco di abeti, un luogo isolato, dove le contaminazioni della città non arrivano e di notte le stelle si mostrano in tutto il loro splendore, senza grigi strati di smog o lampioni giallognoli a disturbarne la vista, un luogo in cui si respira l’essenza della natura e nel quale i pensieri e le emozioni si muovono senza nessun impedimento. Che sia merito del luogo, di strane congiunzioni astrali o semplicemente del talento dei due non è dato sapere, ma quello che traspare all’ascolto dei brani è esattamente questo: pensieri e sensazioni che viaggiano in libertà, a cuore aperto lungo melodie tra il classico e l’elettronico, mai invadenti e sempre al servizio delle liriche, dense e accorate, scandite dalla splendida voce di Odette. Non c’è traccia delle sonorità vivaci ed “estive” dei Soon, c’è invece un sapiente utilizzo dell’elettronica che crea un sound intrigante, che ammalia con discrezione e culla dolcemente, e non ci sono testi urlati, ma intense poesie sussurrate nel silenzio di una notte lontano dai caotici fasti delle metropoli, magari di fronte ad un camino acceso mentre fuori dalla finestra la neve rende tutto ovattato. È proprio questa atmosfera confidenziale a rappresentare l’essenza e la forza dell’album, ed è anche l’ambientazione perfetta in cui immergersi per l’ascolto: brani come “Sensitivity” o “My wildest time” sono piccoli scrigni musicali da aprire nell’intimità del proprio salotto, con una tazza di the caldo sul tavolino per scaldarsi lo stomaco e il pop delicato dei pezzi per scaldare il cuore, la malinconia di “The girl” non si apprezza certo attraverso un’autoradio tra i clacson e le code in tangenziale, e così per “The country”, un folk appena accennato che ricorda le parentesi più intimiste di Suzanne Vega, e ancor di più per “Butterfly”, talmente soave da dispiacersi per la scelta della stampa su cd, perché il quasi impercettibile fruscìo della puntina di un giradischi lungo i solchi di un vinile sarebbe l’ultimo tassello verso l’estasi assoluta...
Una mezza favola moderna quella della bella e brava Odette, fatta di attimi di celebrità, anni di lavoro e dedizione alla musica che finalmente danno i meritati frutti, una spolverata di superstizione e un’aura di magia che non guasta mai, ma soprattutto un album scintillante questo “Infection”, avvolgente ed emozionante, da ascoltare con il cuore oltre che con le orecchie, che delizia e culla con le sue melodie, apre delicatamente la porta delle emozioni e ci fa guardare un po’ dentro noi stessi. Quel che ci ritroveremo a pensare e a provare non lo possiamo prevedere, ma una volta premuto play fuori dalla finestra compare la neve, come per magia anche fuori stagione, la città e i suoi rumori spariscono e la mente ed il cuore possono correre liberi, verso dove non si sa, ma la musica è splendida e non serve altro….
Voto: 8
Tracklist
1. In motion
2. Talk to me
3. The girl
4. Sensitivity
5. Butterfly
6. 61 cravings
7. My wildest time
8. Getaway
9. The neptunian
10. The country
11. My wish
12. Nicht ride
13. Back home
Recensione pubblicata su Oubliette Magazine
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