Nella piazza centrale del paese c’è un palco. Dietro al palco c’è un tendone bianco, dalle aperture sui lati entrano ed escono in continuazione ragazze con l’aria considerevolmente affaccendata. Sono le otto di sera e fra meno di un’ora inizierà la sfilata, si elegge Miss qualcosa o forse si gioca al prêt-à-porter. Le ragazze di provincia con le gambe corte arrivano alla spicciolata fresche di trucco, l’acconciatura di giornata, il vestito più ristretto di un espresso. Ai lati del palco si aggirano uomini in maglietta nera col logo dell’agenzia che ha organizzato l’evento. Fra loro c’è un tale con le ossa della faccia devastate e la camicia sbottonata fino a metà pancia, assomiglia vagamente a Mickey Rourke, l’impressione è che la somiglianza non sia casuale. Forse è un impresario, o forse un mitomane che ha deciso di non lasciarsi sfuggire l’occasione. Il cronista di un quotidiano di provincia gironzola tra le sedie di plastica perfettamente allineate davanti al palco, stringe in mano un registratore vocale, ogni tanto ferma qualcuno per fare domande. Tre vecchi intanto stazionano a mezza distanza, tre vecchi che non sanno più che forma ha la vita. Si mangiano con gli occhi le ragazzine che escono a turno per una sfilata di prova, hanno le guance rosse e sudate, i capillari negli occhi scoppiati, sulla curvatura delle spine dorsali scontano le perdite di una vita. Si danno di gomito come adolescenti accaldati, guardano quei corpi freschi e ammiccanti che ancheggiano non più lontani di un albero né più incomprensibili della loro vecchiaia, occhieggiano nelle scollature gonfie come tulipani d’estate. Una ragazzina che si dà arie da top-model si lamenta del pubblico ancora così scarso. Manca meno di un’ora all’inizio dello spettacolo, e i vecchi in trepida attesa sono ancora tre. Ce ne vogliono molti di più per placare la sua smania di protagonismo, affinché la sua illusione non la si getti ai cani. Io passo per caso accanto a tutta questa umanità, la guardo come si guardano le pietre immobili di un fiume, cerco di sorridere per sentirmi parte del mondo, o per allontanare per un momento quello che ci vorrebbe, una naturale vocazione all’indifferenza.
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