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Miss violence [2013] Alexandros Avranas

Creato il 01 marzo 2015 da Sweetamber

*Vale sempre la regola che non sopporto lo spoiler: consiglio quindi la lettura di questo articolo solo dopo aver visto il film.

Il giorno del suo undicesimo compleanno, immersa in una pastellosa festicciola casalinga dalla forzata allegria, la piccola Angeliki, con un sorrisino quasi beffardo e lo sguardo leggero, si butta dal balcone dell’appartamento in cui vive con la famiglia e muore.
Una larga chiazza di sangue a terra, la famiglia al completo che fissa il suo cadavere e poi l’irruenta entrata in scena di una freddissima burocrazia che si impegna ad informare il patriarca della sottrazione di centosettanta euro dai costi di mantenimento previsti per la famiglia della bambina e verifica gelidamente le condizioni di sicurezza della casa per una bambina di undici anni.
La vita della famiglia prosegue senza particolari sconvolgimenti, come se volesse immediatamente dimenticare la scomparsa. Qualche lacrima e comportamento nervoso, ma niente che stia a dimostrare un dolore reale e pregnante. Un clima freddissimo e cupo in cui l’affettività non è concessa e nel quale non risultano ben chiari nemmeno i legami che collegano i componenti della famiglia.
Qualcosa non quadra e mano a mano che il film prosegue si cominciano a denotare piccoli segnali che ci porteranno a conoscere l’abisso profondo e oscuro nel quale si trovano a vivere tutti i componenti “deboli” della famigliola, soggiogati da un perfido patriarca / padrone che sorveglia e controlla scrupolosamente le loro vite, seguendoli spesso quasi fosse la loro ombra.
Abbiamo tre fratelli che non condividono realmente nessun momento della giornata in giochi e chiacchiere e vengono rigidamente costretti a studiare ed impegnarsi a scuola e nei loro doveri attraverso giochi psicologici di ogni genere. La moglie del patriarca è un’anziana signora alcolizzata con una figlia sui trent’anni e qualcosa la quale ha una mente debole e facilmente manipolabile, anche e sopratutto dalla stessa madre.

Il patriarca, figura emblematica del male assoluto e rappresentazione del più abietto maschilismo possibile, è un individuo di mezza età che apparentemente riesce a passare per un prodigo uomo di casa sempre pronto ad aiutare i nipotini e la figlia disadattata. Superficialmente, appare come la persona più disponibile e altruista del mondo, anche se non ci si riesce a spiegare come possa permettersi di mantenere la famiglia con qualche sussidio e uno stipendio irrisorio. Lo spettatore non è in grado, nelle prime battute del film, di comprendere nemmeno quale sia il reale legame di sangue che unisce la figura patriarcale al resto dei componenti della famiglia. Inizialmente, sembra sia il padre di Angeliki, Myrto e dei piccoli Alkimini e Philippos e che sia sposato con quella che poi si rivelerà essere la figlia. Ma le cose non stanno propriamente così. Mano a mano che la storia prosegue, appare evidente che questo individuo abietto potrebbe addirittura essere il padre di tutti e che la vecchia moglie altro non sia se non una squallida complice in questa vicenda. Consapevole appieno o meno delle crudeltà perpetrate dal pater familias.

Sulla vicenda regna l’assoluta convinzione che solo gli uomini possano decidere come gestire la vita del proprio nucleo famigliare e, soprattutto, l’idea che le figure femminili siano solo oggetti da sfruttare in ogni modo e che debbano unicamente soddisfare le esigenze del maschio. Quindi le donne devono impegnarsi nella pulizia della casa, nella cucina e in nient’altro che non sia questo. I maschi della famiglia hanno meno oneri e qualche libertà, a patto che si dimostrino virili e degni di essere uomini. Tutti però sono di proprietà del patriarca e devono per questo motivo restare segregati in casa a forza (il padre padrone si porta dietro un mazzo di chiavi con cui chiude e apre a sua discrezione la porta di casa), potendo uscire solo accompagnati da lui e solo dove lui desidera vadano in sua compagnia.

Avranos ci mostra una durissima escalation di orrori, con due picchi massimi rappresentati dalla prima scena e dalla tremenda sequenza della lavanderia a gettoni. Inizialmente, solo piccoli accenni spingono lo spettatore a porsi domande di cui quasi si vergogna; poi le domande divengono dubbi e quindi angoscianti certezze.
Un lavoro davvero impressionante è stato fatto per quanto riguarda la fotografia, dai toni freddi e taglienti. Cruda, quasi violenta. Un film che si svolge quasi totalmente in interni e che, aiutato dalla fotografia, aumenta la sensazione di angoscia e di ineluttabilità degli eventi cui stiamo assistendo. Alcune inquadrature hanno un’impostazione quasi teatrale, con riprese di spalle a camera fissa e lunghe attese. Un aspetto interessante è rappresentato anche da un bel piano sequenza durante la visita degli assistenti sociali a casa della famiglia di Angeliki con una soggettiva dal punto di vista del patriarca che segue insistentemente i due delegati.
Ottime le interpretazioni attoriali, specialmente quella di Themis Panou che per questo ruolo ha ricevuto una Coppa Volpi come miglior attore alla 70 esima Mostra del cinema di Venezia, ma anche quella di Sissy Toumasi che interpreta Myrto è interessante, pur trattandosi di un ruolo decisamente complesso e dai risvolti drammaticamente forti.

Ci sono diverse ulteriori considerazioni da fare riguardo questo film. È chiara l’appartenenza del regista Avranos alla scuola di Haneke , nel dichiarare la condizione priva di possibilità di fuga e salvezza dei personaggi e la loro in fondo misera condizione umana. La violenza fisica, poi, non viene mai mostrata esplicitamente (si pensi alla scena di Funny games dove viene ucciso il bambino, dove nulla si vede ma tutto si sa) e la violenza psicologica fa da padrona. È proprio sotto questo aspetto, però, che l’allievo dimostra il suo discostarsi dal maestro: ad un certo punto la violenza non è più celata e lo shock per il non visto viene utilizzato per provocare una concentrata reazione di fastidio e disgusto durante la scena in cui la giovane Myrto viene stuprata più volte nella lavanderia per permettere al patriarca di guadagnare qualche soldo con cui mantenere la famiglia. In questo punto vengono resi noti i terribili soprusi subiti dalle ragazzine della famiglia su cui fino a questo momento lo spettatore poteva solo fare supposizioni inquietanti.
Il denaro del patriarca proviene dagli abusi subiti dalle donne della famiglia, cui si aggiungono gli atti incestuosi che compie lui stesso sulle vittime. In questo punto del film si comprende altresì come le perplessità sui reali legami di parentela siano totalmente giustificate. Questa rivelazione visiva stabilisce anche un punto dal quale la situazione degenera totalmente e parte il countdown per il momento di massimo climax. Haneke rimane coerente sino alla fine rispetto i propri metodi d’azione cinematografica, mentre Avranas svela dopo aver insinuato il dubbio (che nel vedere un film di Haneke invece perdur a) ed impiega l’orrore visto anziché il solo orrore supposto, psicologico.

Il film prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto in Germania, discostandosene parzialmente e alleggerendo (!) alcuni degli aspetti più crudi della vicenda ed ha vinto due premi (regia, recitazione) al 70esimo Festival del Cinema di Venezia turbando pubblico e critica.
Viene spesso visto come una dimostrazione del decadimento morale oltre che economico della Grecia degli ultimi tre / quattro anni, mentre ritengo si tratti piuttosto della dimostrazione di come ogni nazione abbia il proprio quantitativo di polvere da nascondere sotto al tappeto, nonché le stesse fondamentali difficoltà nel proteggere le categorie più deboli e la cecità da parte dei servizi di fronte a situazioni famigliari degeneri quanto quella descritta nel film. C’è anche tutta la follia di un mondo che si reputa adulto ma che in realtà non è mai cresciuto, di un mondo profondamente incapace di amare e quindi anche di educare. Troviamo l’assurda accettazione in quanto normale di una situazione che tutto è fuorché normale da parte di persone che non hanno mai avuto occasione di comprendere cosa si debba definire normalità e cosa significhi vivere in un contesto di rispetto e di amore reciproco. Una situazione estrema ed estremizzata in ogni inquadratura che vuole provocare una riflessione sulla società tutta e sulle sue turbe e mancanze, già dalla prima scena, dove Angeliki sorride beffarda e sollevata puntando gli occhi verso l’obiettivo della camera prima di buttarsi dal balcone. Già qui ci comunica che qualcuno ha fallito rendendo possibile solo una sacrificale vendetta verso un gruppo di squallidi aguzzini mascherati da gente perbene.

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