Secondo lungometraggio del regista greco Miss Violence, vince il leone d'Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile (lo confermo: un agghiacciante
lo sostiene un'assistente sociale a un certo punto: "Quello che mi sorprende è che qui non sia accaduto nulla." "Ho fatto di tutto per riuscirci." Risponde il padre di Eleni.
È tutto morto lì dentro, tra le porte chiuse o addirittura estratte, tra le posture artificiali sul divanoEleni, chiudi la porta a chiave". Forse lo sguardo di Eleni, mentre si volta e obbedisce al pacato comando, è più che sufficiente per trovare il significato di quella chiave che gira, lasciandoci fuori, definitivamente.
Non c'è redenzione, mi dispiace Eleni.
La perversione raccapricciante travestita da buone maniere annienta più di qualsiasi scena cruenta. E sappiate che in Miss Violence di scene esplicative se ne vedono poche; se non una scena in particolare, tutto il resto è suggerito, dietro le porte chiuse.
molto quella di Haneke. Non vi è alcuna spettacolarizzazione della violenza, ma la sua narrazione asciutta, lineare, più vicina al Festen del Dogma 95, penetra dentro lo spettatore per restarci. L'esperienza che vuole donarci Alexandros Avranas è riflessiva, dopo lo sdegno.