Miss Violence: la violenza gratuita di un autore sopravvalutato

Creato il 31 ottobre 2013 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Suicidarsi per evitare un tragico destino di schiavitù. Dietro questa maschera da moderna tragedia greca, Miss Violence di Alexandros Avranas sconvolge con un plot che scaturisce da un gesto folle e liberatorio, un salto nel vuoto che pone fine ad una vita giovanissima. Protagonista un docile agnellino, una bambina di 11 anni, sullo sfondo di una Grecia livida e sbiadita in preda alla crisi economica e di valori morali.

Miss Violence è un vero cazzotto nello stomaco, che arriva ancor più sordo e doloroso poiché coglie alla sprovvista, nel buio, quando i polmoni sono ben aperti. Avranas ci spinge nell’angolo, in un mondo stantio e claustrofobico per raccontarci una di quelle storie che, lette sui giornali, ci lasciano confusi, schifati, senza parole e pieni di sdegno. E lo fa con uno stile asciutto, secco, implacabile, fatto di silenzi, sguardi, porte chiuse e socchiuse, movimenti lenti e severi. Lo spettatore annega in una tensione che è mancanza d’aria, magone che si ferma alla bocca dello stomaco e lì rimane. Ma pur non lasciando indifferente la nostra sfera umana ed emotiva, Miss Violence non centra il bersaglio come dovrebbe.

Questo perché Avranas pecca di ostentata autorialità, rincorrendo lo stile fino a perdere il contenuto. Le immagini mostrano una realtà ambigua e perversa, distorta e martoriata, ma il mistero che vi regna non le rende parlanti. Così noi rimaniamo sordi a ciò che vorrebbe comunicarci e impreparati a sopportare quel triplice abuso sessuale in piano sequenza, con un padre Giuda e stupratore delle figlie/nipoti. Una sequenza che si staglia sul grande schermo all’improvviso, gratuita, e quindi evitabile. Immagini che non si limitano ad alludere (cosa che invece fanno molte delle porte chiuse mostrate nel film) ma ad esibire con così tanta crudezza da suscitare disgusto. Avranas ci sfregia, ma in modo scomposto, con un “colpo di scena” che scopre un autore ancora acerbo, che ricerca il sensazionale più feroce per toccare l’animo del pubblico. Risulta così eccessivo e regalato quel Leone d’argento per la miglior regia vinto all’ultimo Festival di Venezia in accoppiata con una discutibile Coppa Volpi per il miglior attore a Themis Panou.

p.s. E non venitemi a raccontare che Avranas è l’Haneke del Peloponneso. Offendereste il maestro di Amour.


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