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"Mission", i sospetti e la difesa. La Rai: non è fiction e non ci saranno spot (Corriere della Sera)
Creato il 01 dicembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaianoTra i personaggi noti che andranno in quattro missioni impegnate in diverse crisi umanitarie e che vivranno per dieci giorni in un campo rifugiati con gli operatori di Intersos, ci sono Francesco Pannofino e Candida Morvillo (in Mali), Lorena Bianchetti e Cesare Bocci (Ecuador), Al Bano e le figlie Cristel e Romina Jr (Giordania), Emanuele Filiberto e Paola Barale (Repubblica Democratica del Congo). Quest’ultima coppia è stata protagonista della più recente offensiva a «Mission»: in settimana è stato «trafugato» un estratto della loro puntata e pubblicato sul sito African Voices, accompagnato da ipotesi secondo cui le immagini non sarebbero state girate in campi profughi ma in set cinematografici.
Tesi avanzata anche da Vita, mensile sul mondo no profit, sul cui sito si è parlato di «reality condito da comparse africane». Accuse arrivate dopo raccolte firme, critiche da diverse ong e petizioni per bloccare il programma depositate anche in Vigilanza Rai (perfino Laura Boldrini, che come portavoce di Unhcr aveva seguito la nascita del progetto, ne ha poi preso le distanze). Nino Sergi, presidente di Intersos, non ci sta: «Ma pensano che siamo impazziti? Come potremmo, noi che lavoriamo sul campo da anni, spettacolarizzare la presenza dei rifugiati? Nel mondo del sociale comincia a esserci qualcosa di molto marcio».
D’accordo Laura Iucci, funzionario Unhcr: «Siamo sconcertati dalle assurdità su Mission. Le critiche sono ormai inaccettabili, diffamanti». Questo perché, per associazioni che operano nel sociale, «l’immagine conta. È vergognoso che si possa dire che abbiamo allestito dei set». Aver scelto dei personaggi poco noti per la loro conoscenza di temi così delicati non può aver attirato più critiche? «Il casting l’ha fatto la Rai: l’idea era trovare persone che usassero un linguaggio adatto al pubblico di Rai 1. Loro consentono di trasmettere dei documentari che altrimenti mai sarebbero andati in onda su Rai 1, a quell’ora. Fanno puntare i riflettori su realtà dimenticate». Ma, in quanto famosi, hanno un cachet. Si parla di 700 euro al giorno. Soldi che farebbero comodo alle missioni, no? «Il personaggio famoso aiuta a diffondere un messaggio il cui ritorno è ben più ampio», assicura lei.
Della stessa opinione il direttore di Rai 1 Giancarlo Leone: «Su questo programma abbiamo investito molto e vorrei avere ancora più budget per convincere in futuro altri a partire. Non mi vergogno a offrire soldi per questa causa. E posto che molti hanno poi devoluto i compensi in beneficienza, a me non interessa il mezzo ma il fine». E il fine è «far conoscere questi temi parlando un linguaggio televisivamente interessante così che non sia un programma per pochi». Ma nemmeno per moltissimi: «L’obiettivo è tra il 10 e il 12% di share; tra i due e i tre milioni di spettatori: ben sotto la media di rete. Ma saremmo felici». E per allontanare l’idea che si possa speculare sul dolore, durante «Mission» non ci sarà pubblicità: «Mi sembrava improprio interrompere un programma del genere con degli spot».
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