Paula Patton e Tom Cruise
Mission: Impossible- Protocollo fantasma La talpaspy storyQuarto episodio della saga originata dalla serie tv trasmessa negli Stati Uniti dal ‘66 al ‘73 (ideatore Bruce Geller), avviata nel ‘96 per la regia di Brian De Palma e proseguita con John Woo e J. J. Abrams, Mission: Impossible – Protocollo fantasma vede l’esordio di Brad Bird come regista di attori in carne ed ossa, dopo i felici trascorsi nell’animazione (Gli incredibili, Ratatouille), mentre la sceneggiatura è affidata a Andrè Nemec e Josh Appelbaum: si parte da una rocambolesca evasione dell’agente Ethan (Tom Cruise), rinchiuso in un carcere di Mosca, vai a sapere perché, sulla quale si innestano con effetto cartoon i titoli di testa e si prosegue con una missione volta a recuperare alcuni codici inerenti al lancio di testate nucleari rinchiusi nel Cremlino, dagli esiti disastrosi, visto che se ne impossessa il solito cattivone di turno e lo stesso palazzo viene devastato da un’esplosione, della quale viene ritenuta responsabile proprio l’Impossible Mission Force, da questo momento destituita. Ethan e la sua squadra, Benji (Simon Pegg), Jane (Paula Patton) e William (Jeremy Renner), ovviamente, assolveranno il loro compito di salvare il mondo…
Per quanto piuttosto avvincente, in particolare se si decide di partecipare al gioco, lasciandosi stordire dal solito chiasso intorno per far sì che si inneschi la classica “sospensione dell’incredulità” in più di una sequenza (memorabile, comunque, la scalata del grattacielo Burj Khalifa in quel di Dubai), facendo il tifo per il buon Tom a sfidare con disinvoltura le 50 primavere sulle spalle, il film paga il pegno di un plot vecchio stile, che richiama, volutamente o meno, i film di 007 nel riesumare il classico clima da Guerra Fredda, peccando nello schematizzare e nel non fornire una sia pur minima caratterizzazione al malvagio orchestratore del complotto; ad ingolfare il tutto, poi, il maldestro innesto dei trascorsi sentimentali di Ethan, mentre mi è sembrato interessante il gioco di squadra messo in atto, spesso prevalente sui vari congegni tecnologici, con una certa ironia sullo sfondo. Un discreto film d’intrattenimento “e più non dimandare …”
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Ben diversa, invece, l’aria che si respira ne La talpa, primo adattamento cinematografico del romanzo di John Le Carrè (Tinker, Taylor, Soldier, Spy in originale) dopo la trasposizione televisiva del ’79 ad opera di John Irvin, protagonista Alec Guiness. Anche qui è richiesta una partecipazione dello spettatore, ma in forma d’invito a lasciarsi prendere la mano per farsi guidare verso un tipo di cinema capace di agire per sottrazione e non per accumulo: la trama, certo intricata, comprensiva di alcuni salti temporali tra passato e presente, si snoda, in egual misura, tra studiata lentezza ed estrema naturalezza (ottimo il lavoro degli sceneggiatori Bridget O’ Connor e Peter Straughan), rendendo possibile partecipare in simbiosi con l’agente George Smiley (Gary Oldman, perfetto nell’essere insieme dimesso e tenace) del Circus (la sede del Servizio Segreto Britannico, alias M16) alle indagini messe in atto per svelare l’identità dell’uomo che è da anni in contatto con Karla, fantomatico capo del KGB, trasmettendogli informazioni riservate.
Merito di tutto ciò è del regista svedese Tomas Alfredson, della sua rigorosa attenzione a ricostruire attentamente ogni dettaglio dell’epoca (siamo nel ‘73, la Guerra Fredda è tragicamente reale) e nel renderlo vividamente funzionale alla messa in scena, coadiuvato da un’ottima fotografia (Hoyte Van Hoytema), con un realismo volto, oltre che all’ambientazione, soprattutto alla psicologia dei personaggi, lontana anni luce dallo stereotipo classico della spia, tirando nuovamente in ballo al riguardo James Bond. A partire da Smiley, gli agenti sono tutti esseri umani dolentemente trattenuti, fermi nel loro proposito di adempiere il proprio dovere sino in fondo, fedeli alla causa e ai loro ideali (per Smiley il tradimento del proprio paese e quello coniugale sono, in fondo, la stessa cosa), sempre in bilico tra amicizia e sospetto, lealtà e menzogna, ma umanamente sopraffatti, come tutti noi, dai soliti giochi del Potere, che mette sulla scacchiera a far da pedine tutte le sue contraddizioni, con le quali convive e di cui si alimenta per continuare ad esistere.
Gary Oldman