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Missione ieri /Nyabula (Tanzania)

Creato il 05 gennaio 2014 da Marianna06

 

  

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E’ necessario riandare al 1932 quando monsignor Francesco Cagliero, prefetto apostolico d’Iringa, invitò padre Emilio Oggé (IMC) a tirare su la prima capanna, coperta di paglia, nella “terra del bue che muggisce”.

Questo è il significato del toponimo Nyabula.

In tempi successivi si ha il libro “Nyabula, nasce una missione”, in cui si tramandano, appunto, da parte di padre Oggé, colui che l’aveva fondata, con grande lucidità e trasporto emotivo, ricordi e vicende dell’impresa.

Da allora sono trascorsi parecchi anni è Nyabula è un bel paese che, ancora oggi, puoi scoprire al riparo di boschetti di eucalipti e jakarande con i tetti delle sue case, che brillano per le lastre zincate.

E, soprattutto, non lesina una cristianità crescente tanto che dal territorio iniziale sono gradualmente sorte poi nuove missioni nella zona, che è molto vasta, come : Usokami, Kilolo, Ng’ingula, Madeghe e Pomerin.

Ecco, allora, che definire la missione di Nyabula “anziana” e “vigorosa” è aggettivazione a lei più che mai confacente.

Come ricche di fascino, pari a un avvincente romanzo d’avventure, sono le pagine del libro-testimonianza,ormai raro a trovarsi, pubblicato alla fine degli anni ’40 , che ne racconta la storia.

E l’eco di Nyabula è arrivato, anni addietro, anche a d Olbia (nord-est Sardegna), quando un gruppo di signore olbiesi,amanti della Missione, grazie a padre Silvio Lorenzini(IMC),allora superiore della casa dei Missionari della Consolata di Olbia, raggiunsero la Tanzania.

E lo fecero quali ospiti e collaboratrici per un certo periodo di padre Mario Baseggio(IMC) che, all’epoca, era il  superiore della missione di Nyabula.

Così come lo stesso padre Baseggio,di rientro in Italia, non mancava quasi mai di ritornare nella cittadina gallurese, dove lui aveva mosso i primi passi da giovane missionario, amico di molti giovani del luogo che, oggi pure  ingrigiti i capelli, ancora lo ricordano con affetto e simpatia.

E lo faceva con entusiasmo proprio per non far mancare il saluto dell’Africa e mantenere vivo il legame con la missione.

Senza dire delle piccole conferenze nelle scuole di ogni ordine e grado della città (io allora insegnavo nella scuola media),in occasione delle quali gli alunni,indipendentemente dall’età, molto incuriositi, erano soliti porre una quantità di domande in attesa di risposte.

Di quegli incontri mi è rimasta memoria “forte” di un proverbio tanzaniano,ripetuto da padre Mario, in risposta a un quesito posto da una ragazzina che domandava delle differenze di vita tra città e campagna,  tra ambienti urbanizzati e villaggi rurali.

Il proverbio in questione, saggezza contadina (il popolo del Tanzania è, in effetti , fino dalle origini un popolo di agricoltori) è :”Il gallo di campagna non canta in città”.

 Ossia la solidarietà, nei momenti di difficoltà(carestie-epidemie), è più facile che la si incontri in contesti rurali che tra le luci abbaglianti e parecchio mentitrici della città.

Lì dove, semmai, un’urbanizzazione caotica agli ultimi arrivati,impreparati, spesso arreca più danno che profitto.

E non siamo troppo lontani dalla verità. Certe baraccopoli  e certi slums confermano.

  

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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