A tenere sulle spalle il peso, non poco indifferente, di una pellicola ragionata, complessa e, in determinati tratti, emotiva è un Michael Caine la cui età non sembra aver scalfito minimamente solidità, presenza scenica e bravura. Quello che vede protagonista "Mister Morgan" è un trattato sulla porzione vitale che ci resta da vivere quando il mondo a cui siam sempre stati abituati cambia irreversibilmente, in cui la malinconia di una vita al tramonto priva di affetti cardine impedisce reazioni, isolando o perlomeno favorendo un isolamento. Fondamentale, non solo come movimento principe, diventa quindi la figura di Clémence Poésy e di Pauline: mai troppo definita, in difficoltà ma cura salutare verso colui che in lei non solo riesce a intravedere l'immagine della moglie recentemente scomparsa ma soprattutto una spinta alla quale concedere la schiena per rilanciarsi. Perché in fondo alla regista e sceneggiatrice Sandra Nettelbeck ciò che interessa, è ribadire le possibilità che ogni essere umano ha a disposizione per ricominciare, non importa da dove o da quando, l'importante è non cedere il passo e contrastare ogni possibile forma di morte con qualsiasi risorsa a disposizione.
Al termine della visione la sensazione dunque è quella di non avere assistito ad una storia esattamente definita e compiuta, la partecipazione al lutto e alla resurrezione di Mister Morgan da più l'idea di un pezzo di vita reale a cui si è avuto il privilegio di partecipare. Merito anche di un Michael Caine talmente strepitoso a cui non si può fare altro che affezionarsi. Spigoli compresi.
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