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mobbing tout court

Creato il 03 ottobre 2010 da Ivy

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Mobbing, nonostante le apparenze, è termine d’uso italiano e tedesco. Dal latino mobile vulgus, movimento del volgo, e dall’inglese to mob, assalire. Il conio mobbing è di Konrad Lorenz che lo usò per indicare uccelli in gruppo che accerchiano in posizione d’assalto un altro uccello anche più grande per allontanarlo dal proprio territorio cercando di intimorirlo. Fu traslato nel mondo del lavoro da uno psicologo tedesco, Heinz Leymann, che osservando operai e impiegati svedesi sottoposti a traumi psicologici sul lavoro, lo definì una forma di terrorismo psicologico con atteggiamento ostile, in forma sistematica e non occasionale, posto in essere da una o più persone nei confronti di un solo individuo sul posto di lavoro. Harald Ege, specializzato in relazioni industriali, lo ridattò alla situazione italiana. Pure per lui il mobbing è un’azione che si ripete per un lungo periodo di tempo. Il mobbizzato viene accerchiato e aggredito intenzionalmente dai mobbers che mettono in atto strategie comportamentali, volte alla sua distruzione psicologica professionale.

Nei paesi anglosassoni c’è il bullying che indica violenza psicologica in generale, in campo lavorativo, scolastico, in caserma (da noi nonnismo), nelle carceri; esprime il concetto di maltrattamento continuato da parte di un superiore nei confronti di un sottoposto. Nella Scozia è rioting, che indica la violenza perpetuata da un gruppo. Negli USA si utilizza il termine job harassment o work abuse per indicare le molestie sessuali e abusi sul lavoro. Bossing è l’azienda stessa che vessa il dipendente. Nei paesi francofoni per harcèlement morale si intende la molestia sessuale anche singola, e la discriminazione che portano offesa alla persona degradando il clima lavorativo. Acoso moral è in Spagna ogni violenza psicologica anche solo a parole, in forma sistematica nei confronti di una persona nell’ambito. In Italia, Germania, Svizzera e Austria si usa mobbing per intendere una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, perpetuata nel tempo attraverso comportamenti vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori.

Reato di mobbing, in Italia sono gli atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori, da parte di un datore di lavoro o da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale (pressioni o molestie psicologiche, calunnie, maltrattamenti verbali ed offese personali, atteggiamenti mirati ad intimorire o avvilire, anche in forma velata o indiretta, critiche immotivate, atteggiamenti ostili, eccetera) idonea a produrre danni e disagi.

Il termine mobbing ha preso piede perché si è cominciato a considerare il lavoratore in primis come persona dallo spessore psichico e morale. Perché questa lezioncina sul mobbing?

Magari perché è arrivato il momento per un drifting del termine verso altri lidi che non siano esclusivamente quelli lavorativi, verso altre tappe che ne prolunghino l’idea essenziale.

La caratteristica del mobbing oltre al luogo, finora limitato al posto di lavoro, consiste nella durata e nella frequenza di un comportamento vessatorio subito da un soggetto.

Si potrebbe cominciare a considerare mobbing la violenza psicologica continuata anche in altri ambiti, e magari non solo fra adulti: mobbing scolastico (fra i bambini sono tanti i casi di sindrome depressiva iniziata sui banchi di scuola), mobbing familiare (la violenza psicologica nei confronti del minore non è ancora definita da alcuna norma penale), e poi ancora più in generale. Certamente molti fatti di cronaca raccontano di violenze fisiche fra le mura domestiche, ma non sono smentibile se dico che ancora più numerose, seppur numero oscuro, sono le violenze psicologiche. Partner dal comportamento abitualmente intimidatorio, vessatorio, che minaccia e denigra quotidianamente il coniuge, usando contro questi anche forme di violenza economica in modo che la vittima (magari con figli) non possa uscire dall’assoggettamento. Esistono i reati di ingiuria, di violenza privata, di minaccia, di maltrattamento in famiglia, ma non esiste quello di mobbing fra le mura domestiche (una sentenza del 2000 ne parla ma è rimasta l’unica). Nullum crimen sine lege.

E sono tanti ambienti che possono nascondere atti di persecuzione psicologica e violenza morale ben più forti ed angosciosi di quelli che si possono avere sul posto di lavoro. Si potrebbero avere casi di mobbing nelle case di riposo, negli ospedali (penso agli Stati in cui l’eutanasia è legale, fra la struttura che freme per liberare un posto e i parenti che già sognano l’eredità). Nelle carceri italiane la dignità della persona, del detenuto, in quanto soggetto più debole, può venir gravemente lesa? Si può spiegare senza mobbing, il fatto che nelle nostre carceri si verificano in media un suicidio ogni due giorni, più i tentati suicidi che vanno da 300 a 400 all’anno? È la violenza psicologica ad essere spesso la causa di atti depressivi, suicidio incluso.

Una legge contro il mobbing tout court, estesa in differenti contesti oltre l’ambiente lavorativo, che consideri, vieti e sanzioni certi comportamenti come mobbing, avrebbe una funzione preventiva e protettiva delle vittime. Certo non sono in grado di fare proposte di legge e resta una mia umile idea.

In fondo in tutti gli ambienti, i meccanismi che scattano sono sempre gli stessi. Ultimamente anche online, fra i blog, sono soffiati venti di offese, derisione, svalutazione, come se fosse divertente ferire il prossimo, specie quello preso di mira. Comportamenti che sarebbero potuti trascendere facilmente in mobbing. Noto però, che una maggiore presenza “in campo” della Redazione Tiscali ha subito attenuato la loro incidenza.

Le sole norme etiche e sano buon senso non bastano ad arginare soprusi e cattiverie.

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