Questo weekend sono stata a sentire due concerti, perché ero a Milano dal mio ragazzo. In realtà avremmo dovuto andare solo a un concerto, ma si è presentata l’occasione, e abbiam fatto doppietta.
Dunque, il primo concerto era di Moby. Questo Moby è un tipo un po’ strano, c’è da dire. Sul palco sembra un dissociato: per iniziare, non si muove a tempo di musica, ma va su e giù con la chitarra in mano, poi la posa, va alla tastiera, quindi passa ai bonghi, sembra un’anima in pena. Anche lo sguardo è inquietante, perso nel vuoto. È la seconda volta che sento questo cantante/dj/compositore, e purtroppo, devo dire la verità, ancora non sono riuscita a farmelo piacere.
La musica è di quella un po’ discoteca, un po’ ambient, un po’ afro-aborigena, tanti bassi e batteria…forse non è proprio la mia musica preferita ecco. Però riconosco che si fa benvolere. Tipo che sul palco, nonostante sia un po’ dissociato, ringraziava di continuo il pubblico in italiano (e lui è americano di New York): continuava a dire “Grazie grazie”, sempre due volte e in un modo strano, senza pronunciare la “e” finale e calcando un sacco la “a”. A un certo punto si è pure scusato con un fan, un ragazzo della Croce Rossa di servizio al concerto, che prima di salire sul palco gli aveva chiesto di dedicargli una certa canzone. Lui allora se l’era appuntata su un pezzo di carta. Poi però quel pezzo di carta l’aveva perso, quindi non sapeva più che canzone aveva chiesto il fan. E gliene dedicava una a caso. Ora ditemi voi se uno così non è strano. Voglio dire: se un fan ti chiede una canzone, una canzone non a caso ma che hai scritto te, ma come fai a dimenticartela?
Ma torniamo a noi. Come già detto, questo ragazzo non parla al mio cuore. Pazienza, mi sono detta, approfitterò per guardarmi intorno. Ed è stato interessantissimo, perché Moby ha un pubblico così detto “trasversale”. Che vuol dire? Che all’Arena Civica venerdì sera si incontrava gente di ogni tipo: fricchettoni, uomini in giacca e cravatta appena usciti dall’ufficio, rastamanni, gruppetti di ragazze tipo figlie dei fiori, famigliole con babbo mamma e bambino. E io lì ho pensato che anche io, quando avrò un figlio, lo porterò ai concerti, perché non credo affatto che sia diseducativo, anzi. Credo che la cosa importante sia non stare appiccicati alle casse, se no gli si sfondano i timpani, ma per il resto, perché no?
Ad ogni modo, la gamma di età presenti andava dai 5 ai 90 anni. Sì, perché c’era anche un vecchietto, che è arrivato appoggiandosi alla figlia (almeno 60 anni) e al bastone, e poi si è seduto sulla seggiolina portatile da campeggio, di quelle che si chiudono e diventano una specie di asta rivestita di stoffa. Insomma, c’era anche lui, e vederlo tenere il tempo col piedini e la testa che faceva su e giù era uno spettacolo che valeva bene i soldi del biglietto.
Tutto questo perché è lo stesso Moby a essere “trasversale”con la sua vita: un passato di pre-barbonismo, da sfigato della classe e scansato da tutti, nella musica ha trovato la sua dimensione e anche il modo per diventare ricco perché adesso, oltre a vivere a Manhattan, ha una catena di negozi vegano-macrobiotici. Di conseguenza è ampia la fascia a cui si rivolge, e per questo tanta varietà nel suo pubblico. Per dire, ha fatto il concerto all’Arena Civica, vicino a Corso Sempione, uno dei posti più chic di tutta Milano! Mica a Sesto San Giovanni! (non ho niente contro Sesto, per carità, ma se arrivate fino in fondo all’articolo capite perché ho scritto così).
Intendiamoci, non dico che non sia bravo, questo Moby, che si chiama come la balena perché dice di discendere da Melville, lo scrittore di Moby Dick. Se chiedete al mio ragazzo, vi dirà che dalle sue note e dai suoi ritmi si sprigiona un’energia che esprime tutta la voglia di esorcizzare la paura e il malessere che probabilmente si è portato dentro a lungo, e infatti, insieme all’energia, sempre lui (il mio ragazzo) percepisce una malinconia di fondo, costante.
Il tutto accompagnato da bonghi e dalla voce portentosa di una ragazza di colore con un’acconciatura tipo Medusa. Insomma, anche solo a descriverlo, il tutto, sembra bello. Di sicuro lo è, purtroppo io non sono in grado di apprezzare.
Ma l’altro concerto…quello sì che l’ho apprezzato. Conoscete Mannarino Alessandro? Un personaggione: romano, basso, scuretto di carnagione e capelli con due bracciotti, la faccia simpatica e un neo sulla guancia nero che sembra disegnato con la matita per gli occhi. Più che un cantante, sembra un personaggio dei Malavoglia. Insomma, suonava a Sesto San Giovanni (adesso ci siamo arrivati) a un festival organizzato dall’ARCI di Milano, che si chiamava Carroponte (il festival) e che è tipo una festa dell’Unità. Anzi, una festa di Liberazione. Per il nome si sono ispirati all’architettura ex-industriale (detta anche archeologia industriale) che a Sesto è abbastanza diffusa, dato che c’erano un sacco di fabbriche. Quindi nel parco dove è organizzata questa festa c’è una struttura con un carroponte, che sta fermo, fa solo atmosfera. Il mio ragazzo è rimasto talmente colpito da questa cosa che continuava a dirmi “Ma non è un posto incredibile?”. In effetti si, era particolare. Ma anche a Pontedera, allo stabilimento della Piaggio, hanno fatto parecchia riconversione e adesso tanti capannoni li utilizzano in maniera alternativa. Ad ogni modo.
Ora mi viene da dire che si vede che al nord quelli della sinistra hanno un atteggiamento un po’ perdente. Si perché se vai a Livorno, sono tutti di sinistra. A Milano e dintorni, invece, sono sempre in minoranza. Che è anche bello perché tra di loro gente di sinistra, a Milano e dintorni, è come se si conoscessero tutti e quasi si salutano per strada, da quanto sono pochi. Lo so che è un discorso un po’ scontato, quello che faccio. E è anche vero che adesso che ha vinto Pisapia a Milano, quelli di sinistra si sentono senza dubbio meno perdenti. Però qui siamo a Sesto, e non è che la sinistra di Sesto in questi giorni se la stia passando bene. Anche se poi tra Milano e Sesto non c’è un confine netto, ma è come se fosse la stessa città, però sono due comuni distinti. Praticamente c’è via Vipacco (che è una via che quando la sento dire mi viene sempre troppo da ridere) e sei ancora a Milano, e dopo altre due strade sei già nel Comune di Sesto.
Insomma, sapete da cosa si vede l’atteggiamento perdente? Che alle 9,30 avevano già finito quasi tutta la roba da mangiare. Beh, no, tutta tutta no, ma le cose più buone sì. Per esempio non c’era più la mozzarella di bufala in carrozza e i fusilli con le zucchine e la menta, che me li sarei mangiati proprio volentieri. Era rimasto il risotto alla parmigiana, comunque buonissimo, ma se il risotto non lo fanno buono qui…
Insomma, se tu organizzatore della festa ti aspetti un botto di persone, alle 9,30 di sera non puoi aver già finito i piatti del menù. Quindi vuol dire che ti aspettavi poca gente.
Sarà stato Mannarino ad attirare tutte quelle persone? Che almeno 600 eravamo davanti al palco, e comunque non erano tutti venuti per Mannarino.
Ma torniamo a lui, che mi accorgo di aver divagato troppo. Mannarino ha un pubblico che è tutto meno che trasversale. Tutti fricchettoni, sui 30 anni, di sinistra, rastamanni, tutti con le birre in mano che a me questa cosa fa un po’ incavolare, perché se poi ti interessa davvero il concerto vuoi ascoltare e cantare e saltare, e non stai con la birra in mano che rischi di versarla addosso e sui piedi alla gente che ti sta accanto, no? Ma forse qui io sono un po’ troppo estremista. Quindi se volete tenetevi pure la birra, cosa vi devo dire.
Insomma lui è parecchio timido, infatti la prima parola l’ha detta dopo un’ora di concerto, però sul palco è una forza della natura, ha una teatralità spiccatissima quando canta e ti strega con la voce, gli stornelli e i ritmi gitani delle sue canzoni. E poi chissà come deve essere avere sotto di te 600 persone che sanno a memoria le tue canzoni e che se anche sta piovendo rimangono lì a cantarle con te? Voglio dire, Mannarino non è gli U2. E’ famoso sì, ma più che altro a Roma e dintorni. E invece si vede che piace proprio, anche al Nord, con quest’aria da zingaro strafottente, un po’ malinconico e molto anticlericale. Alcune canzoni sono proprio a rischio scomunica…eppure lui sembra proprio uno che se ne frega, e che dice quello che pensa in barba alle convenzioni.
Mi ricordo la prima volta che l’ho sentito, sul traghetto per la Croazia. Il mio ragazzo mi aveva detto, alzando il volume “Secondo me questa canzone ti piace”. E infatti quel gioco di parole del bar dell’Arabia con lamentazione finale tipo preghiera musulmana mi ha conquistato.
Quindi, se mi cercate, mi trovate al Bar della Rabbia, a giocare con un Supersantos.
Buonanotte.