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Moda e arte: un sistema industrializzato

Da B2corporate @b2corporate
Non chiamatela solo moda. Il mondo del fashion già da 30 anni a questa parte, anche in Italia, si è saputo organizzare secondo modelli e processi di sviluppo che sono più assimilabili a quelli dell’industria piuttosto che a quelli dell’artigianato.
Moda e arte: un sistema industrializzato
Se per le manifatturiere che producevano, o producono, capi di abbigliamento lavorando unicamente sul fattore prezzo la globalizzazione ha rappresentato una vera e propria valanga in grado di portar giù con se aziende e posti di lavoro, per la moda nel senso più tradizionale del termine, ovvero l’alta moda, la globalizzazione è stata invece una straordinaria opportunità, peraltro ben colta, basta tenere d'occhio le passerelle delle sfilate e qualche news generale, senza bisogno di essere degli appassionati, per comprendere il giro d'affari generato dal mondo “moda”. Universo che si è allargato anche all'e-commerce, sono infatti molti i siti che vendono online, con qualche sconto, i capi che possiamo vedere sfilare nelle passerelle più importanti, qui possiamo vedere un esempio pratico.

Pensiamo ad esempio a quello che è successo con marchi come Bulgari che nel giro di pochi anni, ovvero da quando è uscito dai confini nazionali, è stato in grado di raggiungere con la sua presenza fatta di boutique di lusso, centinaia tra le principali città di tutto il mondo.

Ecco quindi che quelli che agli occhi di appassionati ed addetti ai lavori sono “solo” dei trend delle passerelle, nella pratica si vanno poi a trasformare in industria e business nel senso più pieno dei due termini.

Conscio del successo di questo modello globale, il mondo della moda, una volta affermatosi e, inutile nasconderlo, una volta raggiunta una posizione economica di un certo rilievo, ha applicato lo stesso modello anche nel campo dell’arte. Sappiamo bene come oggi l’assenza di una mano “pubblica” importante nella gestione dei beni culturali richieda una sempre maggior presenza del privato. Ebbene il fashion world non si è fatto trovare assente a questa chiamata, anche alla luce dello stretto legame che indiscutibilmente lega un capo d’alta sartoria ad un’opera d’arte tout court.

È nata ad esempio così nel 1995 la Fondazione Prada, emanazione in campo culturale dell’omonimo brand toscano. La Fondazione si prefigge tra i vari obiettivi quello di creare un’importante collezione di pezzi di artisti moderni come Fontana, Manzoni, Stella e Judd, ma si è anche resa promotrice di mostre in cui sono stati ospitati pezzi “esterni” come quelli di Thomas Demand, Francesco Vezzoli, Steve McQueen, Tom Sachs, Carsten Höller e Louise Bourgeois.

Il successo, in campo artistico e culturale della Fondazione, è derivato innanzitutto dalla lungimiranza di Patrizio Bertelli e Miuccia Prada di mettere a capo dell’organizzazione, quel Germano Celant in grado di assicurarle il respiro internazionale e globale che, come visto prima, è alla base del successo di simili iniziative in un mondo interconnesso come il nostro.

Anche Trussardi, grazie a Beatrice la figlia di Nicola, il fondatore del brand milanese, ha creato una sua Fondazione che però a differenza di quella Prada punta cercare e valorizzare i nuovi astri nascenti del mondo dell’arte e lo fa andando poi ad innestare questa ricerca nel contesto urbano milanese. Le mostre vengono infatti spesso organizzate all’interno di spazi pubblici da rivalorizzare o rivalorizzati. Anche in questo secondo caso però è possibile percepire lo stampo “globale” dell’iniziativa, in quanto l’obiettivo finale è quello di portare Milano ed i suoi artisti locali allea ribalta internazionale.

Anche Furla ha compreso l’importanza di questa missione ed ha affidato la sua Fondazione, che si occupa della ricognizione dei nuovi artisti sul territorio, a curatori di respiro internazionale come Joseph Kosuth, Marina Abramovic, Ilya Kabakov e Christian Boltanski.

Ma non solo. La Fondazione Furla ha anche dato la possibilità a diversi artisti emergenti di esporre le proprie opere all’interno delle Biennale di Venezia. In questo senso il brand bolognese non assolve solo ad una missione “ricognitiva” dei nuovi talenti, ma si fa anche carico di promuoverli all’interno di quei contest (quale la Biennale di Venezia) che meglio di altri possano assicurare alle loro opere la giusta visibilità internazionale.


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