Si è chiuso domenica il Festival della Filosofia di Modena. Per par condicio con il mio entusiasmo per i Rencontres Photographie di Arles, vorrei raccontare anche cosa accade in Italia. Perché non è vero qui non succede niente, al contrario. Molto si muove, solo che spesso lo fa con fatica.
I numeri del festival
La cartella stampa e alcune interviste visibili sul web forniscono dati che raccontano senz’altro un successo:
- 50 lectio magistralis
- 35 mostre e installazioni
- 38 appuntamneti riservati ai bambini
- 17 concerti
- 12 spettacoli teatrali
Il tutto in un lungo fine settimana emiliano. Tra Modena, Capri e Sassuolo, sedi del festival, sono stati contate 200.000 presenze e il successo spetta senz’altro alle lectio magistralis, che hanno registrato oltre 2.000 presenze per sessione. Duemila persone, cioè, ad ascoltare Zygmut Baumann o Marc Augè. Se non è questa fame di cultura!
I sapori del festival
Intorno al festival sono stati organizzate molti eventi e in particolare il coinvolgimento del territorio è interessante.
Per quanto riguarda l’alloggio, sono state create offerte speciali per pernottamenti di più giorni o per grandi comitive. Quasi 120 strutture ricettive tra hotel, bed &breakfats o campeggi hanno partecipato alla convenzione. Quasi 100 tra ristoranti e bar hanno proposto menu filosofici, come “Amori bucolici” o “Eros in Purezza”. Per i fanatici delle lezioni invece, sono stati previsti menu al sacco, la “razion sufficiente” a 4.50 euro, acquistabili in bar o mercati convenzionati. Inoltre, in talune piazze chef locali si sono esibiti performance di show cooking che hanno consentito ai visitatori di gustare e imparare. Un sistema integrato, verrebbe da dire, dove il territorio è parte viva del festival e attiva in coerenza con i contenuti dell’evento e con la sua straordinaria varietà gastronomica.
Gli organizzatori del festival
Per un’analisi del management è senz’altro interessante capire chi organizza questa manifestazione, che festeggiava quest’anno la sua 13 edizione. Il sito purtroppo offre poche informazioni di dettaglio e la cartella stampa ne parla in senso generico.
Dal 2009 è stato istituito un Consorzio, composto dal Comune di Modena, dalla Provincia di Modena, dal Comune di Sassuolo, di Carpi e da due organismi non profit, cioè la Fondazione Collegio San Carlo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Il Consorzio regola le attività e per la parte operativa prevede un direttore scientifico che “avvalendosi di un’apposita struttura organizzativa elabora, progetta e realizza le attività del Consorzio”. La direttrice è Michelina Borsari, già direttore scientifico dal 1987 al 2008 delle attività di ricerca, formazione e diffusione della cultura della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, dove ha realizzato e diretto la Scuola internazionale di Alti Studi “Scienze della cultura” .
Altre informazioni sull’organizzazione, tuttavia, è difficile reperirle. Nel sito si elencano i nomi delle persone per amministrazione comunale ma non sono definite le rispettive funzioni. Peccato, perché trovo molto interessante e anche utile capire come è gestito un festival di questo tipo, che cresce in interesse di anno in anno. Qual è il suo segreto? La filosofia attira o c’è anche un buon management alle spalle?
Oso un suggerimento …
Lo studio “Effettofestival 2012” di Guido Guerzoni, relativo ai festival culturali italiani, ci fornisce in questo senso alcuni dati interessanti:
- il 44% degli organizzatori di festival culturali in Italia (studio su un campione di 37 festival) si avvale di professionisti in organizzazione di eventi e comunicazione.
Se teniamo conto che sono 927 i maggiori raduni di questo tipo (cinema, musica, cultura, teatro scienza) verrebbe da dire che è tanto il 44%, data la tendenza nel nostro paese a sfruttare poco le sue persone capaci, soprattutto nell’ambito di organizzazione di eventi, soprattutto quando c’è di mezzo l’amministrazione pubblica. Il dato veramente positivo è che la ricerca di specialisti è in crescita.
In genere però si affida la direzione generale ad accademici per la approfondita conoscenza del tema cuore del festival. Oso un suggerimento. Nella mia esperienza, infatti, reputo che l’accademico sia fondamentale per la coerenza dei contenuti, ma che l’operatività debba essere delegata a professionisti, che si sentano a proprio agio con il process management, con le operations necessarie, con attività cioè che non vertano sulla domanda “filosofica”: cosa?, bensì che pongano al proprio centro una domanda a catena: chi fa cosa entro quando e chi la paga. Ovviamente le due figure dovrebbero lavorare a stretto contatto, poiché il “tecnico” sarebbe necessariamente al servizio dell’accademico.
Oso più di un suggerimento. Oso un’osmosi dal mondo dello sport. Forse qualcuno s’indignerà, ma credo che lo sport, sottoposto a forti pressioni operative dai suoi finanziatori, abbia sviluppato competenze specifiche sul piano crudo del fare le cose fatte bene. Un esempio: le migliori sale stampa che io conosco sono quelle che hanno ben chiara la distinzione tra chi decide cosa si dice e chi decide quali servizi sono offerti. Sono due formazioni professionali diametralmente opposte ed egualmente necessarie.
Quando costa la filosofia in piazza?
Quanto costi il festival non lo so. Purtroppo non sono riuscita ad avere informazioni a riguardo. Né, confesso, sono una buona investigatrice della rete. L’unico dato economico che ho trovato è che il comune di Modena s’impegna annualmente con 54.000 euro. Mi sono tuttavia rincuorata quando ho scoperto nello studio di Guerzoni che non avere a disposizione dati chiari sui costi è pratica comune:
La raccolta dei dati relativi agli aspetti economici dei festival risulta sempre problematica, non tanto per la carenza di informazioni – da questo punto di vista l’innesto di professionisti dotati di competenze manageriali ha migliorato decisamente la situazione, come dimostra la crescente accuratezza dei dati forniti – quanto piuttosto per la loro frammentarietà, dovuta spesso alla compresenza di più soggetti dotati di poteri di spesa su singole voci.
Ciò premesso, bisogna tener conto del fatto che alcune organizzazioni – per motivi di policy interna – preferiscono non divulgare dati e cifre, rendendo note solamente le classi di spesa e le ripartizioni in termini percentuali.
Credo che questo sia un altro aspetto che dovrebbe essere migliorato negli anni a venire. La policy interna di non fornire i costi è a mio avviso sbagliata. Soprattutto in un paese come il nostro. Soprattutto quando ad organizzare sono gli enti pubblici. Ritengo che un ufficio stampa, alla domanda: quanto costa? debba essere in grado di comunicarlo in modo trasparente e immediato.
Perché è importante? E’ sintomo di professionalità, di un’organizzazione costantemente monitorata, di trasparenza. Inoltre consente di comprendere quale sia la portata dell’evento e in un confronto con l’indotto consente di comunicare quanto l’investimento nella cultura sia importante. Ecco, dire quanto costa è una strategia di comunicazione e di marketing importante.
Guerzoni mi viene in soccorso perché nel suo studio fornisce un’interessante statistica nazionale:
- il 33% dei festivals in Italia cosa tra i 100.000 e i 250.000 euro
- il 27% tra 250.000 e 500.000
- l’8% dei festival analizzati costa oltre un milione di euro.
Chi paga?
Su chi paga i dati da Modena sono nuovamente generici. In un comunicato stampa vengono elencati i sostenitori, ma non il valore del sostegno:
- partners istituzionali: Camera di Commercio di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, Regione Emilia-Romagna, Confindustria Modena, Piacere Modena (i consorzi di tutela delle DOP e IGP), gli otto Rotary Club del Gruppo Ghirlandina che debuttano come donatori
- main sponsor: Gruppo Hera, Banca Interprovinciale,
- sponsor tecnici: Tetrapak, Unipol, Buonristoro vending group , Iablu arredamenti , Gavioli srl,
Per avere un po’ di dati percentuali sui finanziamenti ai festival, ci aiuta di nuovo Guerzoni:
- il 41% dei finanziamenti è pubblico (perlopiù comunale, provinciale e regionale)
- oltre il 50% è non profit
La fanno da padrone quindi non tanto gli sponsor, ma le fondazioni, gli enti non profit. Una riflessione a caldo mi farebbe commentane che è un peccato che le aziende private non credano nella sponsorizzazione culturale, come invece fanno nello sport. Ma certo qui, la visibilità non è televisiva e il ritorno è prevalentemente territoriale (o forse politico?). Anche in questo campo si potrebbe cercare qualche contaminazione dallo sport. E se proprio non ci si vuole sporcare le mani con un settore che è sempre più sportainment, basterebbe guardare oltre confine e scoprire che le fondazioni all’estero sono vive dentro tante aziende (non solo nelle banche) e che tutto (quindi anche l’informazione dell’impegno economico) avviene con la massima trasparenza.