Il sottoscritto imputa a Kim l’imperterrita tendenza a voler incrementare la gittata drammatica scena dopo scena. Se prendiamo il già citato Ferro 3, altro film (quasi) muto che, a onor del vero, non aveva risvolti così tragici ma si fondava su presupposti ancor più irreali di Moebius, era facile carpire la bravura di Kim nella creazione di un mini-mondo dall’impalpabile essenza, sfuggente, leggero (come la famosa bilancia del finale), l’esatto contrario dell’opera sotto esame inzuppata di turpitudini. Nessuno si scandalizza per gli obbrobri messi in atto, allarma, invece, la preoccupazione del regista di edificare il proprio pensiero su una riproposizione senza ossigeno di un medesimo concetto esacerbato di volta in volta come a voler sbraitare sempre più forte, ma ficcarci dentro agli occhi, senza filtro alcuno, l’Idea, non sta a significare la conseguente soddisfazione nel recepirla. La rotolante frenesia di Kim finisce per macinare qualunque cosa gli si pari dinanzi, così, a seguito anche del tacito contesto che obbliga gli attori ad una prosopopea tangente l’imbarazzo, il film dilaga in una sequela di ridicolaggini che, davvero, lasciano interdetti per il grado di demenzialità a cui si rifanno. Mi si potrà dire che era voluto, che Kim aveva contemplato tutto il teatrino grottesco, ma lui non fa “grottesco”, con il realismo che adesso propone è impossibile che il girato possa apparire credibile allo spettatore, l’in-credibilità non fa più parte del suo registro creativo, ciò è un amaro dato di fatto.
Poi dentro ci sarà tutta la psicologia che si vuole, Edipo, evirazione, ecc., ma se la teoria non è affatto supportata come ci si può interessare ad essa? La speranza, molto tenue, è che al pari del ragazzino nel finale il cinema di Kim possa ricongiungersi all’immaterialità, l’Occidente è già fin troppo pieno di schifo per doverlo patire anche nei film orientali.