Nicolò Carnimeo nel suo Come è profondo il mare ha ben descritto la “velenosa zuppa di coriandoli” che sta avvelenando i mari. Una “zuppa” fatta di microframmenti di plastica multicolori bianchi, rossi, azzurri, palline o pezzetti sfrangiati come tentacoli, le loro dimensioni sono inferiori ai due millimetri, ce ne sono più di quanti se ne possa immaginare. “C’est officiel, la Méditerranée devient une mer artificielle…”, ha commentato il ricercatore francese Bruno Demontet (che ha trasformato la sua barca a vela, l’Halifax, in un laboratorio per monitorare l’intero Mediterraneo fino al 2015) quando ha constatato che al largo dell’isola d’Elba la concentrazione di plastica, forse per un gioco di correnti, è di 892mila frammenti per chilometro quadrato. Una densità superiore a quella dell’isola di plastica del Pacifico dove la media è di 334mila frammenti! Nel Mediterraneo non ci sono le “isole” come negli Oceani, ma immensi fiumi di plastica che risalgono dal fondo con le correnti dette “di densità”. Sono lunghi decine di miglia e sono stati avvistati al largo tra Sicilia e Sardegna o nel mar Egeo.
Sono definiti macrorifiuti, cioè le buste, le bottiglie non ancora decomposte che secondo la loro densità stazionano nella colonna d’acqua o giacciono nel fondo. La prova macroscopia la danno i pescatori che praticano lo strascico: il 30-40% di quello che si raccoglie nel sacco è immondizia, bitume, lattine, buste, pezzi di reti. I pochi pesci stritolati in questa melma devono essere accuratamente lavati prima di essere sistemati nelle cassette.Molti di questi rifiuti il mare li rigetta a terra, sulle spiagge, anche le più incontaminate e sono in tanti, tutti volontari, che si adoperano per raccoglierli. Li chiamano beachcombers, sono coloro che cercano sulle spiagge oggetti abbandonati.

Il postino di Zarzis con il suo sacco
Nel Mediterraneo il loro guru, come racconta Carnimeo, è Mohsen Lihidheb, il postino che vive a Zarzis, una località turistica nel sud della Tunisia, a una trentina di chilometri dal confine con la Libia.Dopo aver letto la sua storia in Come è profondo il mare, l’ho voluto conoscere approfittando della mia “vacanza” tunisina, così mi sono fatto quasi seicento chilometri, otto ore di macchina, per fotografarlo e intervistarlo. Mohsen ora è in pensione, ha sessant’anni, una ventina di anni fa ha sentito fortissimo il richiamo del mare, così ha abbandonato il fumo, l’alcol e la politica, come lui stesso racconta, per dedicarsi completamente a raccogliere gli oggetti che il mare portava a terra lungo 150 chilometri di spiagge. Ogni mattina all’alba con il sacco in spalla ha raccolto di tutto, quasi settecentomila oggetti, bottiglie di plastica, ma anche tavole da surf, canapi, testuggini, lampade al neon, elmetti, spugne, tronchi di legno, palloncini scoppiati.

Al centro del giardino circondato da mura di bottiglie di plastica colorate, una montagna di scarpe. Sono le scarpe dei naufraghi. Mohsen le custodisce insieme a camicie, giacche, pantaloni, maglioni e magliette recuperati a riva, strappati dai corpi sepolti nel mare. Sono tutti lavati e appesi in modo ordinato sotto una tettoia. Un monumento che ricorda la strage dei tanti migranti che hanno perso la vita in mare.

Al dramma dei migranti Mohsen ha dedicato un libro di testimonianze e poesie dal titolo Mamadou et le silente de la mer. Mamadou e il nome che ha dato al primo corpo che lui stesso ha recuperato nell’agosto del 2002. “L’avevo visto da lontano, racconta ancora con emozione. All’inizio sembrava una tartaruga rivolta sul guscio.





Sono quindi tornato al mare dove sono cresciuto, ho cominciato senza pretesa alcuna questa attività, una azione spontanea; ho cominciato a raccogliere tutti gli oggetti provenienti dal mare, a collezionarli e a dargli un ordine in quello che poi è diventato il museo. Oggetti che sono per me come dei “regali”, regali di Dio, regali del mare, regali che vengono con le onde e le maree, che raccoglievo con la mia borsa (facendo anche un po’ di sport perché gli oggetti erano tanti e pesanti), la maggior parte degli oggetti è venuta dall’Italia, come le bottiglie contenenti messaggi.

Per me gli oggetti che ho raccolto dal mare sono come le “lettere dell’alfabeto della natura”, e io li ho raccolti per farne delle parole, delle frasi, e dei testi.
E questo è riuscito perché mi sono basato sin dall’inizio sull’azione, sul movimento, che mi hanno donato delle idee, mi hanno donato dell’arte, delle parole, non vuote, bensì ricche di idee, parole messe in poesia e testi, nelle interviste radio, ovunque. Un ciclo continuo e cumulativo in tutti i sensi, non ho mai bruciato tappe o idee, o utilizzato mezzi inappropriati.

Sono i bambini, i tantissimi che mi hanno fatto visita, che mi hanno permesso di resistere e continuare. Più che loro sono io che mi nutro di loro, con la loro spontaneità e freschezza nell’approcciarsi a queste tematiche, questa predisposizione di accogliere il mondo e la vita in maniera spontanea e bella, senza preconcetti culturali o concettuali.

Mohsen mostra la bottiglia di Badolato
Alcuni nelle loro scuole hanno aperto a loro volta piccoli musei con reperti che gli ho donato e io stesso sono andato a fare delle installazioni nelle scuole.Tutto quello che io faccio con la mia attività esula dagli approcci tradizionali e abituali. Ogni oggetto è molto importante, pur sembrando ordinario. Quando trovo un oggetto che galleggia mi immergo nell’acqua per recuperarlo e sono felice, come se avessi trovato un tesoro. Per questo non posso dire se un oggetto ritrovato mi faccia piacere o meno, perché è sempre un piacere. Tutto è importante, e li sta il segreto di questa azione.
Per quello che riguarda le bottiglie trovate in mare, credo che l’impatto più forte sia stato con la prima bottiglia, proveniente dall’Italia, un paesino di nome Badolato, credo sul mare Adriatico, una bottiglia in vetro che ci ha messo del tempo forse un anno per arrivare, era il 1986.

Un altro messaggio in bottiglia proveniva da un giovane ragazzo abitante a nord della Tunisia, a Houaria, gli ho scritto per lettera ed è venuto qua a trovarmi e insieme abbiamo festeggiato, e poi mi ha invitato al suo matrimonio.”
Le ultime fotografie mostrano Mohsen con le sue installazioni.
Maurizio Bizziccari


oppure scrivetegli un messaggio e lanciate, con il vento che soffia da terra, una bottiglia in mare, tempo un anno o più e forse sarà lui stesso a raccoglierla sulla sua spiaggia. Inshallah…
Ringrazio per l’assistenza e le traduzioni Federica Matteini e suo marito Akid Rabaaoui
alcuni link dove potete approfondire la sua conoscenza
www.seamemory.org
http://art.artistes-sf.org/mohsen
http://zarziszitazarzis.blogspot.com
http://azizi-bouazizi.skyrock.com
http://boughmiga.skyblog.com
http://zarzissea.skyblog.com
http://www.webtunisiens.com/boughmiga






