Con tutto quello che sta accadendo le decine di migliaia di persone scese in piazza domenica scorsa a Chisinau, capitale della Moldavia, per protestare contro la corruzione dilagante e il furto di un miliardo non fanno notizia. Eppure cinquantamila persone e anche più su una popolazione di appena 3 milioni e mezzo di abitanti sono un bel numero, mentre quel miliardo scomparso misteriosamente dal circuito bancario, costituisce un ottavo del Pil del Paese: insomma un disastro, come se da noi qualcuno avesse fatto sparire 150 miliardi. Ma credo che se anche fossero scesi in strada tutti i moldavi e fosse svanito l’intero Pil non ne avremmo che scarse notizie perché la Moldavia è il Paese EuroNato che ha fatto da laboratorio dalle vicende ucraine ed è oggi una colonia di Washington che la occupa con sue ong e i suoi inviati informali come il senatore Mc Cain instancabile viaggiatore tra Kiev e il deserto siriano, tra terroristi ben pagati e movimenti arancioni.
Di certo non sarebbe una bella pubblicità per l’Occidente aver fatto di tutto per instaurare un regime di ladri: che è senza dubbio tale perché il capro espiatorio della fuga miliardaria di soldi, un piccolo, ma ricchissimo oligarca di nome Ilan Shor, dopo appena 30 giorni di domiciliari continua ad essere sindaco di una cittadina storica, vicina alla Capitale. Naturalmente è solo un’episodio, anche se clamoroso, fra i tanti che costellano il concetto di democrazia da esportazione ormai tipico di Washington e di Bruxelles.
A questo punto vale la pena ripercorrere le tappe della recente storia moldava per vedere in atto i meccanismi sperimentati all’inizio nei balcani e poi divenuti una dottrina. Bene, nelle elezioni del 2009, nonostante il profluvio di soldi giunti dall’occidente, il partito comunista vinse aggiudicandosi il 50% dei consensi. Immediatamente scattò una sorta di rivolta “popolare” con il tentativo di assaltare il Parlamento. Tuttavia, visto che gli osservatori esterni, avevano già decretato la correttezza del voto, non c’era altra strada che spingere sull’arancionismo e sulla strategia della tensione per ribaltare il risultato: fu creata persino una formazione ad hoc il Partito Democratico (ogni riferimento a fatti e personaggi reali è puramente casuale) che si andò ad affiancare alle altre opposizioni, i liberali, i liberali democratici e i nazionalisti di Moldavia nostra. Ci fu un ritorno alle urne, ma nonostante gli enormi sforzi e il clima da guerra civile instaurato il partito comunista ottenne il 48% dei seggi il che impediva alle opposizioni, miracolosamente riunitesi tutte assieme per formare un governo di opposizione, di eleggere il presidente della repubblica. I filo occidentali promossero allora un referendum per l’elezione diretta del capo dello stato, con l’intento di superare l’empasse, ma la consultazione popolare fece sentir un bel no. Allora nuove manifestazioni, nuovo disordine e di conseguenza nuove elezioni grazie alle quali l’alleanza occidentale riuscì a strappare i 3 seggi in più necessari all’elezione del presidente. Alla carica fu chiamato tale Nicolae Timofti, giurista, espressione delle ex opposizioni ormai riunitesi nell’ Alleanza per l’integrazione europea. Disgraziatamente il primo personaggio da lui proposto come premier Vlad Filat, già direttore del Dipartimento della Privatizzazione è stato incriminato il giorno prima della nomina ufficiale per corruzione, ma ha governato quasi due anni in attesa degli sviluppi giudiziari. Gli è succeduto alla fine di febbraio di quest’anno, grazie a un accordo con i comunisti , Chiril Gaburici candidato che con la vicenda ucraina in pieno corso e la Transnistria che chiede la secessione per riunirsi alla Russia, non soddisfaceva per nulla gli amici ad occidente, per cui pochi mesi dopo è saltato fuori che aveva falsificato il diploma e la laurea. Quindi via ed elezione, questa volta senza comunisti di mezzo, di Valeriu Strelet, uomo che può vantare un diploma sia pure tardivo dell’Istituto Europeo di Studi Politici, ma soprattutto la militanza in un fondo di investimento per le privatizzazioni e il lavoro per aziende appartenenti alla galassia delle multinazionali agricole e chimiche sia europee che americane.
Adesso arriva il miliardo rubato e la protesta portata avanti anche con un accampamento di 150 tende davanti al Parlamento, dalla piattaforma Dignità e Verità, appoggiata in qualche modo da comunisti e socialisti, ma sostanzialmente un movimento magmatico in cui figurano giuristi, attivisti anticorruzione, personaggi politici di secondo piano, comunisti e liberali, vecchi riciclati e giovani promesse. Insomma una forza che può trasformarsi in qualsiasi cosa, tanto che qualcuno sospetta possa trattarsi di un’operazione di riverginamento operata da oligarchi marginalizzati per conto di Washington e Bruxelles mentre altri sospettano che sia questa calunnia a venire dai medesimi luoghi. Si vedrà, ma non sembra ancora chiaro come dentro il paradigma delle privatizzazioni selvagge, dello stato ridotto all’osso, della colonizzazione, della democrazia ridotta a fatto puramente formale e rituale, la scomparsa del senso di solidarietà, sarà impossibile combattere la corruzione che è divenuta elemento strutturale della società e sostanzialmente diversamente legale. Del resto perché se ne dovrebbero accorgere i moldavi se non ce ne accorgiamo noi?