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Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare

Creato il 28 agosto 2012 da Mcnab75

Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare

Bello come proposito vero?
Un po’ troppo da immaturi e utopistico, vi sento che lo state bisbigliando davanti al monitor del vostro computer.
Eppure questo non è un mio personale mantra, bensì il titolo di un interessante saggio scritto da John Williams e pubblicato in Italia da De Agostini, anche in formato digitale. Per inciso è uno dei libri che ho letto durante il mio viaggio oltreoceano. Cercavo qualcosa del genere da tempo, purché non sconfinasse nelle porcate new age da poveri illusi, cose del tipo “Diventa miliardario in soli sette giorni”.
Ecco, direi con col libro di Williams siamo decisamente sulla buona strada. Innanzitutto perché l’autore è il primo ad aver fatto un percorso come quello citato nel titolo, abbandonando il classico posto fisso per diventare un freelance della parola scritta. Col tempo ha cambiato altri lavori, si è prestato a più campi, tenendo però un solo punto fisso ben chiaro in testa: fare solo quello che gli piacere, ed essere pagato per farlo.
Tra l’altro Williams parte da un presupposto che senz’altro irriterà molti: la Crisi globale può essere la più grande opportunità di cambiamento della nostra vita. Stupiti? Infastiditi? Ebbene, secondo me ha ragione.

In un’epoca di grandi cambiamenti è auspicabile cercare di sfruttare al meglio le proprie risorse. Se abbiamo dei talenti è ora di sfruttarli. Se possediamo delle capacità che possono essere vendute, coniugando piacere e lavoro, è il momento di tentare questa strada.
Laddove i mercati classici stanno dimostrando tutta la loro fallibilità, perché non crearne di nuovi? Lo hanno fatto alcune persone citate in Mollo tutto!, dalla ragazza che si è reinventata cioccolataia itinerante, al blogger che ha messo in vendita la sua “reputazione” online per scrivere su commissione. Gli esempi sono tantissimi, le possibilità di combinare qualcosa di buono più alte del previsto.
Williams parte da due punti specifici:
- Trasformare il lavoro (definizione classicamente pregna di significati negativi) in gioco;
- Non sprecare più un solo minuto della nostra vita.
Partendo da questi due semplici presupposti si può tentare di tutto, imponendosi però una ferrea autodisciplina.

L’autore ci guida attraverso una sorta di questionario che può far capire a ciascuno di noi quali attitudini possono diventare lavoro/gioco, e attraverso quali passaggi. Punti semplici, superflui per chi sa già cosa piacerebbe fare per trasformare la propria vita in un un cammino più sereno (il che non vuol dire necessariamente più ricco!) e più soddisfacente.
Tuttavia, anche nei passaggi scontati, è un bel leggere. Williams sottolinea alcune cose forse ovvie, ma esaminandole sotto punti di vista particolari.
Esempio: “Nelle nostre esplorazioni all’insegna della libertà ci capita di inciampare nei tabù degli altri. Siamo più tolleranti della media, e anche più completi. Siamo creature politiche, emotive, sessuali e sappiamo come usare tutto questo per ottenere i risultati più eclatanti.
Come non riconoscersi in una definizione del genere? Io la trovo adorabile.

Il processo di autoconsapevolezza della propria forza inizia da un semplice esercizio: prendete una penna, aprite un taccuino e  scrivete tutto, ma proprio tutto, quello che fareste in dodici mesi di lavoro/gioco libero.
Sembra un esercizio sterile ma non lo è, perché secondo Williams il problema è che molti hanno dimenticato perfino le loro attitudini e le loro passioni. Quindi il passo primario da fare, prima di trasformarle in un lavoro, è riscoprirle.
Un altro aspetto che l’autore sottolinea riguarda i blocchi mentali che ciascuno di noi si mette davanti per giustificare la mancanza di un tentativo di fare davvero ciò per cui siamo tagliati. Per esempio la mancanza di una formazione lunga e costosa, o l’estrema utopia “o il sogno o niente”, dimenticando che esistono gli step intermedi e la possibilità di muoversi per gradi.

Williams propone anche soluzioni pratiche estremamente interessanti, come il coworking, una sorta di raduno in spazi flessibili (case private, locali), organizzato da persone che trascorrono la giornata lavorativa insieme, pur occupandosi di cose differenti. Lo scopo? Dividere i costi, passare il tempo con individui che hanno scelto di fare un percorso di vita simile, e che quindi hanno presumibilmente molto in comune.
L’idea, per esempio, di due freelance newyorchesi è riassumibile così: “Noi ci mettiamo sedie e divani, connessione wi-fi e persone interessanti con cui parlare, collaborare e scambiarsi idee. Voi portate un computer (o qualunque cosa vi serva per lavorare) e un atteggiamento amichevole.” Ha funzionato? Sì, ha funzionato.
Chi ha un senso della comunità profondo può diventare membro di tantissimi ambienti lavorativi/creativi condivisi, che offrono una postazione a un prezzo fisso orario o mensile, garantendo in cambio dei brainstorming senza precedenti, e un ambiente dinamico in cui operare (una settimana potreste trovarvi a lavorare sulla Broadway, un’altra in un caffè a Little Italy, un’altra ancora, magari d’estate, a Bryant Park).


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