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Quando s’è saputo che Benedetto XVI concedeva vi fossero “casi giustificati” di uso del preservativo, vi ho invitato a non guardare la luna ma il dito: quella concessione non era esplicitamente espressa nella dottrina, ma si trattava della personale opinione di un teologo che discettava di morale. A parlare era stato Joseph Ratzinger, non il Papa, e ho scritto: “Non si tratta di un’affermazione tratta da un’enciclica pontificia, né da un documento ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede sottoscritto dal Papa, né da un testo che abbia forza di emendare il magistero”. Mi è subito venuto a dare sostegno padre Federico Lombardi, che qualche ora dopo precisava che quanto riportato nel libro-intervista era espresso “in una forma colloquiale e non magisteriale”.Intanto c’era chi faceva notare la possibilità di un errore nella versione in italiano dell’affermazione del dottor Ratzinger: l’uso del preservativo doveva ritenersi “giustificato” non già nel caso di una prostituta che lo pretendesse dal cliente per evitare il rischio di contagio da malattia a trasmissione sessuale, ma nel caso di “ein Prostituierter”. Era proprio così. Implicazioni? Sembravano essere notevoli. “Il prostituto sta comunque commettendo un male (perché è omosessuale e perché si prostituisce), ma si tratta di un male che avrebbe commesso ugualmente anche senza profilattico”; nel caso della prostituta, invece, con l’uso profilattico si ammetterebbe la liceità morale di scegliere “un male minore (la prostituta non può più rimanere incinta dei suoi clienti)” rispetto a “un male maggiore (la prostituta alla lunga rimarrà contagiata)”, sicché “ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa”.Insistevo nel dire che cambiava poco o niente: non si era validato l’uso del preservativo come “male minore” rispetto a un “male maggiore”, ma lo si era solo definito – qui è il caso di citare testualmente – un “primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole”. L’ho definito “un memento del peccato che si sta compiendo”. E quindi prostituta o prostituta non faceva differenza.Padre Lombardi tornava a darmi sostegno: “Ho chiesto al Papa se c’era problema serio di scelta nel maschile piuttosto che nel femminile. Lui mi ha detto di no. Il punto è il primo passo di responsabilità nel tenere conto del rischio della vita dell’altro con cui io sono in rapporto. Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. È lo stesso Papa – non dimentichiamolo – che poco più di un anno fa ha dichiarato che il problema dell’Aids non si risolve con la distribuzione di preservativi, che anzi “aumentano il problema”: è evidente che l’uso del preservativo è “giustificato” non già come soluzione, ma come “primo passo verso una moralizzazione”, come possibile occasione di “consapevolezza” del peccato.Riassumendo: quella del dottor Ratzinger non era un’affermazione ex cathedra, né indicava il preservativo come “male minore” o soluzione, né ammetteva come tollerabile sul piano morale il suo effetto contraccettivo. E dunque? E dunque niente, come vi avevo detto: nessuna storica apertura. Anche qui padre Lombardi si affrettava a darmi sostegno: “Il Papa non riforma o cambia l’insegnamento della Chiesa, ma lo riafferma […] Il ragionamento del Papa non può essere certo definito una svolta rivoluzionaria”.Ennesimo infortunio mediatico e comunicativo, concludevo. E il filo del distinguo nelle due note del direttore della Sala Stampa Vaticana era di così ardua comprensione da poter essere sicuri che anche stavolta si creerà smarrimento e confusione nel gregge. Molto bene, direi.