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Molto forte, incredibilmente vicino

Creato il 26 maggio 2012 da Tiziana Zita @Cletterarie

Molto forte, incredibilmente vicinoQuando si prende per la prima volta in mano un libro, spesso viene voglia di andare all’ultima pagina e sbirciare l’ultima frase, o anche solo l’ultima parola. Se vi venisse in mente di farlo con il libro di Jonathan Safran Foer Molto forte, incredibilmente vicino trovereste qualcosa di inaspettato. Qualcosa di duro, toccante, di molto forte ed incredibilmente vicino, proprio come il titolo del libro. Quello di cui parliamo non è un semplice romanzo: descriverlo così sa- rebbe riduttivo e forse confuso. Foer crea un vero e proprio diario, un menabò attraverso il quale Oskar, il giovane pro- tagonista, racconta la sua storia, ma anche dove raccoglie foto, disegni e testimonianze. Un diario che corregge, evidenzia, sottolinea e che così Foer consegna ai suoi lettori.
Il protagonista di Molto forte, incredibilmente vicino ha solo 10 anni e si confronta in prima persona con un lutto che ha segnato la storia di tutti. Suo padre, per lui un eroe amato e ammirato, compagno di giochi e maestro di vita, muore durante l’attentato alle Torri Gemelle.

Il rapporto fra Oskar e il padre Thomas è speciale ed esclusivo: nessun altro, neppure la madre, entra nella loro vita, fatta di giochi, indizi ed indovinelli. Il padre trova che Oskar sia diverso rispetto ai suoi coetanei e ne stimola la creatività, senza nessuna reticenza nel dirgli “sei bravo”. Le improbabili invenzioni di Oskar accompagnano il romanzo così come le lettere attraverso cui le presenta a scienziati illustri (vedi Stephen Hawking).
Eccolo che ci racconta della sua prima lezione di jujitsu, avvenuta tre mesi e mezzo prima:

«Ci siamo esercitati a fare l’inchino, poi ci siamo seduti come gli indiani e dopo il Sensei Mark mi ha detto di avvicinarmi e mi ha ordinato: “Tirami un calcio nelle pallottole”.
Qui mi sono sentito in imbarazzo e gli ho chiesto: “Excusez moi?”

Molto forte, incredibilmente vicino

Lui ha allargato le gambe e mi ha risposto: “Voglio che mi dai un calcio nelle pallottole, più forte che puoi”. Si è messo le mani sui fianchi, ha tirato il fiato e ha chiuso gli occhi, così ho capito che parlava sul serio.
“Acci” gli ho detto, e dentro di me pensavo: Ma che… ?”
Lui ha insistito: “Su, avanti. Distruggimi le palle”.
“Devo distruggerti le palle?”
Sempre a occhi chiusi, lui si è scompisciato e mi ha detto: “Anche se provi a distruggermi le palle, non ci riuscirai. E’ quello che si impara qui dentro. Una dimostrazione della capacità che ha un corpo ben allenato di assorbire un colpo diretto. Ora, distruggimi le palle”.
Gli ho risposto: “Io sono pacifista” e dato che la maggioranza dei bambini della mia età non sa cosa vuol dire, mi sono voltato e ho spiegato agli altri: “Io credo che non sia giusto distruggere le palle alla gente. Mai”.
Il Sensei Mark ha detto: “Posso chiederti una cosa?”
Io mi sono girato e gli ho risposto. “’Posso chiederti una cosa?’ è già chiedermi una cosa”.
Mi ha chiesto: “Tu sogni di diventare un maestro di Jujitsu?”
“No” gli ho risposto, anche se non sogno più neanche di prendere in mano la gioielleria di famiglia.
Lui mi ha chiesto: “Vuoi sapere come fa un allievo di Jujitsu a diventare maestro?”
“Voglio sapere tutto” gli ho risposto, anche se non è più vero neanche questo.
Allora mi ha spiegato: “Un allievo di jujitsu diventa maestro distruggendo le palle al suo maestro”.
Gli ho risposto: “Affascinante”.
Tre mesi e mezzo fa ho preso la mia ultima lezione di Jujitsu.

Molto forte, incredibilmente vicino
Il problema di Oskar è trovare un modo di sopravvivere alla morte del padre.

«Comunque la cosa affascinante è che su National Geographic ho letto che ci sono più persone vive oggi di quante ne sono morte in tutta la storia dell’uomo. Per dire, se tutti tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente, non ci sarebbero abbastanza teschi».

Dopo la morte del padre, Oskar trova tra le sue cose una busta bianca, con sopra scritto “Black”, che contiene una chiave. Questo fa riacquistare senso alla sua vita; Oskar è convinto che sia uno dei tanti indizi che il padre gli ha lasciato e che lo condurrà verso qualcosa che avrebbe voluto fargli scoprire. Con quella busta e quella chiave il bambino cerca di riempire il vuoto che la perdita paterna gli ha lasciato (qui assomiglia molto a Hugo Cabret anche se il romanzo è precedente). Inizia così il suo viaggio attraverso tutte le contee di New York; aspetta impaziente l’arrivo del sabato per poter rintracciare tutti i “Black” della città, alla ricerca di una serratura che corrisponda alla sua chiave.
È una moderna odissea quella di Oskar che però a casa non ci vuole tornare: lui vuole e non vuole risolvere quell’enigma perché sa che sarà l’ultimo contatto con il padre. Una mente ed un corpo tanto in movimento per un cuore così fermo a quel giorno che gli ha cambiato inesorabilmente la vita.

Molto forte, incredibilmente vicino
Sono tre i piani che l’autore racconta e mischia con maestria, senza creare il minimo sfasamento al lettore: la vita di Oskar prima della morte del padre, quella dopo la tragedia, e quella dei nonni, nella cornice della guerra e della persecuzione degli ebrei in Germania durante il bombardamento di Dresda.
Molto forte, incredibilmente vicino è il secondo romanzo dello scrittore statunitense 35enne Jonathan Safran Foer: “the wunderkind”, il bambino prodigio, così l’autore è stato definito dalla critica americana per il suo bellissimo romanzo d’esordio Ogni cosa è illuminata, scritto a soli 25 anni. Oltre ad essere un grande successo letterario, il libro è stato adattato per il cinema nel 2005. Stessa sorte è toccata a Molto forte, incredibilmente vicino (del 2005) da cui di recente è stato tratto il film, interpretato da Tom Hanks e Sandra Bullock, che appena uscito nelle sale italiane (vedi qui il trailer).
La ricerca delle origini, il rapporto con la famiglia e le persecuzioni antisemite durante la seconda guerra mondiale fanno da sfondo e filo conduttore in entrambi i romanzi. Ma non è facile cimentarsi con un libro tanto riuscito, neanche se la regia è quella di Stephen Daldry (candidato all’Oscar per Billy Elliot, The Hours e The Reader) e la sceneggiatura di Eric Roth (premio Oscar per la sceneggiatura di Forrest Gump).
La freschezza, la spontaneità e la creatività del protagonista che Foer racconta nel suo romanzo, seppur in una cornice di dolore, perdono molto nel suo alter ego cinematografico. I vari piani del libro sono resi in modo confusionario dal regista, almeno nella prima parte. Per lo scrittore statunitense quello che è accaduto l’11 settembre è solo un pretesto. Il papà di Oskar sarebbe potuto morire in qualsiasi modo; è quello che la perdita scatena nel figlio che interessa allo scrittore. Il film di Daldry invece sembra volersi soffermare più sul racconto della tragedia del “giorno più brutto” – come lo chiama Oskar – piuttosto che usarlo come escamotage per raccontare altro.
Molto forte, incredibilmente vicino
L’Oskar cinematografico non è più il piccolo genio, vivace, espansivo ed anche un po’ insolente di Foer, ma è pauroso, timido e con lo sguardo velato di tristezza, anche prima della morte del padre. Nei momenti felici prima dell’11 settembre, Oskar è un bambino più strambo che intelligente. Anche i giochi e gli indovinelli inventati dal padre per lui, perdono l’aurea di contorti rompicapi per diventare dei semplici quiz per stimolare l’attenzione di un bambino problematico ed introverso. La nonna, che tra le pagine di carta è sognatrice e positiva, diventa una anziana stanca, triste e a volte anche un po’ arcigna. La regia di Daldry abbassa tutta la vicenda su un piano tragicamente reale, rendendola più cupa, chiusa e patetica. Lascia a desiderare l’interpretazione della Bullock che ha un’espressione sola: quella rifatta.
Il film, che ha ottenuto due candidature all’Oscar come miglior regia e miglior attore non protagonista per Max Von Sydow, non è un brutto film. Solo che tra le pagine di Foer l’immaginazione vola molto più in alto di quanto non faccia davanti al grande schermo.


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