Magazine Cultura
di Hugh Hudson (GB, 1981)
con Ian Charleson, Ben Cross, Ian Holm, Nigel Havers, John Gielgud, Lindsay Anderson
VOTO: ****
Lo abbiamo sentito, immancabile, anche l'altra sera durante la cerimonia d'apertura delle Olimpiadi londinesi. Lo conosciamo da trent'anni eppure, inesorabilmente, ogni volta che sentiamo suonare il tema di Chariots of Fire la mente ci riporta alle immagini di 'quei giovani che vissero con la speranza nei cuori e le ali ai piedi'... la partitura musicale di Vangelis è diventata la colonna sonora più famosa della storia del cinema, e addirittura c'è chi ancora oggi neanche immagina che sia associata a un film, si può dire che ormai vive di vita propria. Eppure Momenti di Gloria è una pellicola che, a suo modo, un posto al sole lo merita, soprattutto per il messaggio che porta: non tanto per lo 'spirito olimpico' (che, come vedremo dopo, in realtà è tutt'altro che esaltato), quanto perchè cerca di trasmettere allo spettatore il concetto che nella vita vale sempre la pena di battersi per un obiettivo, qualcosa per cui varrà la pena essere ricordati, piccola o grande che sia.
Ma andiamo con ordine: nel 1980 la British Film Commission incarica l'allora regista pubblicitario Hugh Hudson di realizzare un film che rievochi lo spirito dei Giochi Olimpici, appena svoltisi nello stesso anno a Mosca e boicottati dei paesi occidentali per motivi politici (l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'URSS). Hudson decide di adattare sul grande schermo una sceneggiatura scritta dal connazionale Colin Welland, che racconta la storia di due atleti britannici del passato, Harold Abrahams ed Eric Liddell, che si preparano per affrontare i Giochi di Parigi del 1924.
I due hanno percorsi di vita molto diversi, ma corrono per lo stesso obiettivo: vincere. Ma se per Liddell, fervente cattolico in procinto di partire missionario per la Cina, la vittoria nelle gare di corsa è un modo per onorare Dio e ringraziarlo di averlo fatto nascere 'veloce come il vento', per l'ebreo Abrahams vincere l'oro nei 100 metri significherebbe rifarsi di tutte le discriminazioni e le angherie subite in gioventù a causa della sua fede, peraltro ostentata con orgoglio. I due sono i grandi favoriti (e rivali) per la distanza più breve, ma a pochi giorni dalla partenza per Parigi, Liddell viene a sapere che la finale olimpica è stata spostata alla domenica: per lui è impossibile gareggiare nel giorno dedicato al Signore, ed è irremovibile nella sua decisione, lasciando così la strada spianata a Abrahams, che vincerà a mani basse. Liddell si rifarà pochi giorni dopo vincendo l'oro nei 400 metri, cui parteciperà grazie al 'sacrificio' di un compagno di squadra.
In realtà le cose non andarono esattamente così, la vicenda di Liddell è stata molto romanzata dalla sceneggiatura di Welland: il calendario delle gare era infatti noto da mesi e non ci fu alcun conflitto interiore nell'atleta, che si iscrisse solo nella distanza più lunga. Ma questo non avrebbe ovviamente giovato allo stile della pellicola, volutamente enfatico, altisonante, magliloquente, in linea con gli obiettivi 'alti e nobili' del committente (il Ministero della Cultura britannico). Molti detrattori hanno criticato il film proprio per questa 'altezzosità' tipicamente 'inglese', stigmatizzando l'uso ripetuto e a loro dire abusato dei ralenti e della profondità di campo e, appunto, per aver distorto eccessivamente il racconto degli eventi a fini esclusivamente commerciali.
Eppure... eppure, per quanto appropriate possano essere queste critiche, Momenti di Gloria è uno dei film più affascinanti e evocativi che il sottoscritto ricordi. E' un film trascinante, emozionante, coinvolgente, sapientemente preso per mano dalle musiche di Vangelis e ammirevole per l'accuratezza dei dettagli, costumi e scenografie su tutto (la nostra Milena Canonero fu premiata con l'Oscar, oltre a quelli per miglior film, sceneggiatura e musica). E' uno di quei film che quando passano in televisione non riesci a smettere di guardare, come altrettanto non riesci a non rimetterlo nel lettore dvd in occasione di ogni edizione dei Giochi Olimpici, come sta accadendo ora. Addirittura, è notizia di questi giorni, in Gran Bretagna è stato rieditato al cinema con un successo clamoroso.
Girato con mano sapiente, estremamente curato nei particolari, il film di Hudson contiene sequenze che sono entrate nella memoria: i titoli di testa con gli atleti che corrono sulla spiaggia, la sfida nel cortile del college scandita dai rintocchi dell'orologio, la finale interminabile dei cento metri, interrotta mille volte dal montaggio, a testimoniare la tensione e la sofferenza dell'atleta, la gioia dell'allenatore di Abrahams che apprende la notizia della vittoria ascoltando le note dell'inno nazionale...
Ma attenzione. Momenti di Gloria è tutt'altro che (solo) un film patinato e omaggiante lo sport. Leggendo bene tra le righe si nota una netta critica sociale verso la realtà culturale e benpensante dell'epoca, esplicitata soprattutto nel personaggio di Abrahams, oggetto di pregiudizi e velata insofferenza per la sua fede ebraica (si veda il comportamento del rettore dell'università). Insomma, anche nella civilissima Inghilterra degli anni '20 le disparità etniche e sociali erano all'ordine del giorno, oggi come allora, e anche lo spirito dei Giochi era molto meno 'olimpico' di quello che si crede: coloro che infatti potevano permettersi di andare alle Olimpiadi erano gli atleti più ricchi, che potevano pagarsi le rette dei college più famosi e perfino allenarsi all'interno delle proprie tenute, spesso veri e propri schiaffi alla miseria (emblematica la scena di Lord Lindsay che sistema su ogni ostacolo una coppa di champagne). E, ogni caso, nessuno si sognava di andare lì e partecipare, arrivando perfino a ingaggiare allenatori professionisti pur di conquistare la vittoria, a ogni costo.
Abile nel conciliare momenti epici (le gare) con aspetti intimi e privati degli atleti, Momenti di Gloria è ancora a tutt'oggi il più bel film sportivo mai realizzato, unico nel suo genere a riuscire a trasmettere allo spettatore le emozioni, le sofferenze e più che altro le rinunce di chi dedica tutto se stesso al coronamento di un sogno. Il titolo originale è tratto da una poesia di William Blake ma, per una volta, lasciatemelo dire, quello italiano è infinitamente più bello.
Bring me my bow of burning gold
Bring me my arrows of desire!
Bring me my spear! Oh, clouds unfold!
Bring me my chariot of fire.
(W. Blake)
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