Momenti di Gloria a...

Creato il 23 giugno 2013 da Ghlucio @ghlucio
Tratto dall' articolo di Giacomo Poretti su La Stampa
"...Era il 1966, frequentavo la quinta elementare ed ero la riserva dell’ala destra della squadra del Circolone di Villa Cortese, categoria esordienti. La nostra squadra stazionava in fondo alla classifica da quando era stata fondata dieci anni prima: se anche arrivavi ultimo non retrocedevi nel pulcini, rigiocavi lo stesso campionato negli esordienti finché l’età anagrafica non ti costringeva a iscriverti agli allievi, poi gli juniores, via via fino alla terza categoria.
C’è da dire che molti si fermavano prima e andavano a fare i saldatori o i carpentieri. Io speravo di sottrarmi al destino di saldatore riponendo tutti i miei sogni nel calcio: avevo visto in tv Garrincha e Jair, e mi ero messo in testa che dovevo diventare un’ala destra forte come loro.
La maglia del Circolone era gialla con una striscia blu, e la misura più piccola mi arrivava sotto le ginocchia: siccome negli Anni Sessanta i pantaloncini usavano corti, sembrava che giocassi in mutande. Il Mister, metalmeccanico in pensione, aveva deciso che non sarei partito titolare, diceva che dovevo migliorare nel tiro e rinforzarmi un po’; forse voleva dirmi che avevo un fisico da pulcino più che da esordiente e non aveva tutti i torti. Per quanto riguarda il tiro, forse non tutti sanno quanto pesavano i palloni negli Anni Sessanta: quasi quanto un bambino di due anni! In quel campionato avevo collezionato solo due presenze: una contro il San Vittore Olona e l’altra contro la Sandrianese, dove non avevo toccato palla. I terzini che mi marcavano erano più alti e prestanti di quelli del Liverpool.
Si giocava la penultima del girone di ritorno: il derby contro Busto Garolfo, in casa loro. Busto Garolfo aveva un campo in erba perfetto e intorno un velodromo, uno dei cinque o sei in tutta l’Italia, e sopra il velodromo una tribuna per gli spettatori. Quando uscimmo dagli spogliatoi mi sembrò di mettere piede a Wembley, al Maracanà o San Siro.
Dopo il saluto al pubblico, i titolari si sistemarono sul campo, le riserve in panchina. Quella mattina ero l’unica riserva della squadra, perché Cova aveva la dissenteria, Bonacina Emilio si era rotto il radio e l’ulna cadendo da un albero e Tintoni Fausto era in castigo per aver dato la Barbie della sorella al cane Tiger.
A nulla erano valse le suppliche del Mister ai genitori di Fantoni: avrebbe saltato per punizione le ultime due del campionato in corso e tre di quello successivo. La stessa punizione che Totti ricevette in Nazionale per aver sputato a un giocatore danese ai Mondiali di Germania 2006. Francamente, pare eccessivo equiparare la Barbie a un giocatore danese.
L’arbitro fischiò e il derby ebbe inizio. Dopo 20 secondi il Mister comprese che sarebbe stato come il massacro di Fort Apache, si trattava solo di attendere che arrivasse il gol, anzi la goleada. A dieci minuti dalla fine stranamente eravamo ancora sullo 0 a 0 nonostante tre pali e due traverse del Busto Garolfo. A sette minuti dal termine Zanzottera, il nostro libero, si infortunò e il Mister, senza staccare gli occhi dal campo, urlò: «Cova, scaldati!». Il massaggiatore rispose: «Cova ha la diarrea». Il Mister si girò per vedere chi c’era in panchina e dopo una pausa infinita disse a bassa voce: «Poretti, entri tu».
Io corsi in campo, lui urlò: «Mettiti i pantaloncini», sbracciandosi. Capii che voleva che andassi in attacco, ma soprattutto non stessi in difesa a fare danni. Me ne andai diligentemente verso la metà campo avversaria e stetti quattro minuti a sentire il libero del Busto Garolfo che mi chiedeva se ero il cugino della Barbie o il Puffo nano, poi si stancò e disse che andava in attacco tanto, se anche mi fosse arrivata la palla non sarei stato in grado di spostarla da solo.
E miracolosamente la palla mi arrivò. Inizialmente ebbi paura di trovarmi tutto solo a 30 metri dal portiere, poi iniziai a correre e a colpire la palla: era come dare dei calci a una sfera di granito. Il Mister si alzò e iniziò a urlare non so cosa, il massaggiatore urlava più del Mister, io dopo tre calci avevo il piede che mi faceva male, ero a sette metri dalla porta, chiusi gli occhi dalla paura e la mia gamba si slanciò in avanti.
Ci fu un secondo di silenzio, poi l’urlo dei miei compagni mi travolse. Quando riaprii gli occhi, Gorla mi stringeva e mi urlava «Goooooooooooooooool» come si urla alla fidanzata «Ti amoooooooooooooo». Non so come, ma l’avevo messa dentro nel derby! ..."



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