E’ che ci sono giorni pieni di riflessioni – quasi sempre paturnie auto-distruttive del disgraziato soggetto cogitabondo – e giorni in cui persone inattese t’impongono veri e proprio dolci momenti di riflessione.
Oggi è stato C. (solo la sua iniziale).
Mentre tornavo da nordic mi manda un sms. Mi scrive che si assenterà e tornerà a notte fonda; mi invita, perciò, a ritirare la sua posta. Gli scrivo di andar piano e di fare buon viaggio, pur ignorandone la destinazione. Per sicurezza, però, prima di rincasare, suono alla sua porta. So di non essere uno spettacolo: bastoncini da nordic in una mano, thermos di té caldo nell’altra, chiavi dell’auto e chiavi di casa appese alle dita; tenuta sportiva, sudata e con il tipico odore di “freschino” di chi è stato all’aria aperta a sgambettare. E questo è il nostro dialogo:
B. <<Ciao C. Non voglio disturbarti, stai bene?>>
C. <<Ciao cara, entra. Bene sì. Ma ti ho sempre in mente.>>
Sorrido e tento di ignorare la cuffia che ormai mi gratta la fronte. Devo resistere, altrimenti mi scortico. C. è tenero e gli chiedo il perché dimori tra i suoi pensieri.
C. <<Perché tu hai un dono e devi usarlo. Hai il dono di scrivere e di arrivare all’anima, al cuore.>>
Mi coglie di sorpresa. Da lui non me lo aspettavo. Cioè… forse ci speravo. Non lo so. Sono impreparata, forse a disagio o forse simulo un disagio. In fondo non sono il massimo della sveltezza nel rispondere. Mi appoggio alle bacchette e mi faccio ancora più piccola di quanto non sia in realtà rispetto a lui.
B. <<Anche tu scrivi e sei un nome. Io non sono nessuno.>>
C. <<No, non è vero>> e il suo tono non lascia molto spazio a repliche. <<Tu hai quello che deve avere una persona che scrive: tu crei, plasmi, vivi vite non tue e le rendi sulla carta. Sono processi che la gente che legge non capisce e non sa. Stai scrivendo?>>
Non c’è nulla da fare. Oggi C. è dotato di super poteri. Mi legge l’anima. Decido di essere schietta, sincera, come non mi capitava da tempo su quest’argomento.
B. <<Ho in ballo qualcosa. Storie così complesse che poi sto male.>>
C. <<Perché?>> Una domanda secca esige una risposta altrettanto secca.
B. <<Perché l’hai detto tu. Lì tra la pagina e l’inchiostro ci sono io. Soffro, soffro terribilmente.>>
C. <<E’ questa la via. E’ questa la strada. E hai un dono enorme. Fregatene di chi legge. Ascolta solo il tuo cuore. Fai fluire te stessa. Ahhhh se solo avessi il tuo dono…>>
Lo interrompo un nano secondo. Il tempo, brevissimo, di riassumergli i miei ultimi 12 anni. E lui mi guarda per dire: Embeh? Giusto – penso – Embeh? E sento lo stridio di unghie sui vetri. Un suono orribile. E quindi mi ricompongo. In fondo, le bacchette da nordic servono anche a questo: a ricomporsi. A darsi una giusta postura.
B. <<Ma C. come posso io pensare di scrivere quello che sto scrivendo? Lo so che sembra una domanda assurda, ma forse proprio normale al 100% non sono.>>
Effettivamente messa così la faccenda suona male, eccome! Lui ride sornione. La felpa rossa targata Quechua gli conferisce l’aspetto del saggio Obi – Wuan Kenobi in abiti moderni. Okkkkei… la mia immaginazione galoppa e devo frenarla prima di saltare in un trip spazio-stellare.
C. <<Non lo capisci? E’ questo che tormenta chi scrive. Ascolta: perché scrivi?>>
B. <<Perché per me è normale. Ho delle cose dentro.>> Che brutto chiamarle “cose“. Mi sento una frana. Mentalmente sfoglio un vocabolario alla ricerca del termine più appropriato ma salta sempre fuori cose. E lui ride ancora. Ma la risposta la vuole ed io ormai non so più chi sono. Sento solo la voce fuoriuscire con una fluidità e sicurezza inaspettate. E mi meraviglio perché di solito, questa facilità la possiedo solo scrivendo. <<Scrivo perché penso di dover comunicare queste cose. Ma non chiedermi il perché. Per me è così. E’ normale. Sì, scrivo per comunicare o, forse, per respirare.>>
C. <<Lo vedi? E’ questo il tuo dono. Ed è giusto che sia così. Non fermarti.>>
B. <<Io non voglio fermarmi, ma… Ma la gente… sa essere cattiva.>>
Silenzio.
Ormai l’ho detta.
Ehhhh lo so… l’ho detta.
Questa è l’amara verità. Ma non è la cattiveria legata a giudizi su cosa e come scrivo a farmi male. Per carità! Quelli ci stanno e pure bene. E’ la cattiveria o, meglio, la superficialità con cui le persone prendono te (cioè me), quello che fai o scrivi e lo montano e lo smontano a proprio piacimento. Cioè… forse sono troppo iper sensibile o forse troppo inadeguata o forse non… boh!
Lui ascolta in silenzio i suoi pensieri. Chiude gli occhi e annuisce. Sorride. Ancora.
C. <<Anche con me la gente è stata cattiva>> Anche con lui… quindi sa… mi capisce… <<Ma tu hai questo>> e fa il gesto di chi stringe tra le mani una delicata sfera di cristallo. <<Tu senti nascere i tuoi personaggi, li vivi, li plasmi. Immagino che ci parli pure.>>
B. <<Sì, infatti… E non è proprio una cosa da dire>>. Ma sì, butto un pò in vacca tutto: io, il dono, la scrittura, la gente, il mio cervello troppo agitato e sempre in subbuglio tra gomitoli e personaggi…
C. <<Oh, è meraviglioso. E dimmi: quanti lavori hai avviato?>>
B. <<Diversi e tutti differenti.>>
Gongola. Allarga le braccia. Poi mi punta il dito. La mano trema un poco.
C. <<Potessi io avere questa tua mente creativa. Lasciali scorrere i tuoi personaggi, le tue storie. Scrivi e il resto lascialo fuori. Solo tu conti. Solo tu.>>
Afferrato. Solo io conto. Solo io… solo io… e tutti gli altri fuori!!!
B. <<C.?>>
C. <<Sì?>>
B. <<Così, giusto quando hai tempo, posso farti leggere un racconto che mi hanno pubblicato? Non è recente, però…>>
C. <<Ne sarei onorato.>>
Ecco, a volte sono proprio le persone più inaspettate che ti regalano momenti di speranza inattesi. Spalancano portoni su orizzonti e possibilità. Non ti fanno promesse. Non ti regalano nulla se non la saggezza. Ti confortano nei momenti di stanchezza e ti donano le parole magiche che riscaldano il cuore.
C. l’ha chiamato il dono. Non lo so se sia un dono o altro. Quasi sempre penso sia un tormento dell’animo (ma di questo ho già detto… credo). Come ho scritto e detto, io – minuscolo essere – non sono nessuno, ma se posso, anche solo per un minuto entrare nella mente e nel cuore di chi legge, beh, penso di chiamarmi felice. Non so – perché non ho la conoscenza effettiva – quando uscirà una nuova storia. Ma so che uscirà. E quando accadrà molto lo dovrò alle persone come C. che, leggendomi, hanno creduto in me. Quindi, grazie, perché oggi mi sono sentita avvolta da un enorme e grande abbraccio.
Un abbraccio, sempre e comunque gomitoloso, Benben <3"><3"><3