Mommy (2014)

Creato il 03 maggio 2015 da Julien Davenne
Xavier Dolan, esordisce nel 2009 con “J'ai tué ma mère” all’età di soli 20 anni, un film semi-autobiografico che probabilmente aveva già detto molto del suo cinema, anticipando molte tematiche a lui vicine, come l’omosessualità, l’adolescenza, la diversità e il conflitto genitoriale, che ritorneranno nei suoi film successivi, spesso con risultati piuttosto discutibili. La critica e il pubblico hanno accolto Dolan, come una giovane promessa per il futuro del cinema moderno francese, spesso sovrastimandolo in modo eccessivo e aumentando sicuramente l’astio di chi come me, non è mai stato convinto dalla sua idea di cinema. Ma qual è l’idea di cinema di Dolan? È certamente un’idea fondata esclusivamente sullo stile, assolutamente manieristico, dove gli eccessi visivi (come l’uso primi piani e rallenty), della recitazione enfatica e della musica extradiegetica e della “bellezza” geometrica ed espressiva delle inquadrature sembrano essere il cardine portante della narrazione. Ogni film suo film è riconoscibile dallo stile e non dalla storia, ogni suo film è fondamentalmente una questione di stile. Eppure come non rimembrare le parole del grande Carl Theodor Dreyer quando sosteneva che “Ogni storia ha uno stile diverso” o ancora il genio Alfred Hitchcock quando nelle interviste fatte da François Truffaut, affermava: “I film migliori sono quelli senza stile”? Il rischio è sempre quello di costruire un film attraverso l’artificio del cinematografo, un susseguirsi di scene magnifiche che tentano in vano di incatenarsi tra di loro, soprattutto quando lo script è povero. Ed è questo quello che succede spesso nei film di Xavier Dolan. “Mommy” non si allontana molto da questa idea di film (il cambio del formato, i rallenty e gli accostamenti ritmici tra musica pop/melody e immagine in videoclip style non mancano), anzi la porta alle estreme conseguenze, ma malgrado questo è certamente un’eccezione nella sua filmografia, e va detto, perché il film è sostenuto da una buona “idea”, una sceneggiatura ben strutturata, caratterizzata da un’introspezione avvincente dei tre protagonisti. 
Mi sono inventato una legge, con cui si apre il film, che permette a un genitore di lasciare il figlio minorenne in un ospedale psichiatrico senza che un medico lo prescriva. In nessun Paese al mondo un minorenne viene rispedito a casa dal riformatorio, dopo aver commesso un atto così violento come Steve. Ho girato un film nel 2013 ambientandolo nel 2015 proprio per dire che una realtà simile potrebbe appartenere all'immediato futuro. I Governi attuali, infatti, piuttosto che investire nella sanità preferiscono farlo nell'economia. 

Il film di Dolan, ci trasporta in questo futuro immaginario, dove il giovane Steve si ritrova rispedito a casa con la madre. Steve è un ragazzo iperattivo con deficit di attenzione, che si abbandona spesso a comportamenti violenti, la madre tenterà in tutti i modi di riconcigliare un rapporto con il figlio, cercando di trovare un lavoro per migliorare la propria situazione economica al fine di permettere al figlio di studiare e trovare il suo posto nel mondo. Ma non sarà facile senza l’aiuto di un padre, che purtroppo è morto. Fortunatamente la loro nuova vicina di casa, Kyla, entrerà in contatto con questo nido famigliare, la donna è affetta da balbuzie e rivelerà di essere stata una maestra che ha sospeso la sua attività a causa del suo problema; la madre di Steve non perderà occasione per accoglierla e farne l'educatrice perosnale di Steve. I tre protagonisti, chi per un motivo, chi per un altro, si ritroveranno duramente a mettere alla prova se stessi, al fine di rientrare in quel mondo sociale dove non sono ammesse insufficienze e inadeguatezze. 

Il rapporto complesso con i deficit di Steve, rivelerà alle due donne i loro limiti e molti aspetti di se stesse che seppellivano nel loro animo. A questo proposito è interessante la scena in cui Steve, rifiutandosi di studiare, attacca e umilia la vicina Kyla rubandole una collana, questa in preda a una crisi di rabbia atterra Steve riversandoli una umiliazione ben più grande, incutendoli così una forte paura fino a fargli urinare addosso. La crisi rivelerà un lato oscuro di Kyla, soprattutto quando enuncerà provocatoriamente contro Steve la battuta “Ti piace così?”, con un inatteso eco perversamente erotico; lo spettatore non può fare a meno di interrogarsi se la crisi di Kyla sia un rigurgito delle sevizie subite da quel marito freddo e distante che abbiamo visto nelle sequenze precedenti del film. Ed è interessante come Kyla si sia ritrovata a far uscire questo “mostro” di emozioni represse, proprio nel momento in cui si è incastrata in questa famiglia sostituendo la figura paterna. Kyla si trasformerà di pari passo, insieme a Steve, riuscendo a ritrovare un'armonia mai raggiunta nella sua vita famigliare. L’introspezione che Dolan dedica ai suoi personaggi in questo film è certamente di una completezza inedita al suo cinema. Lo dimostra anche il travagliato e controverso rapporto tra Steve e la madre, che rivelerà tutte le sue contraddizioni quando la madre di Steve, per aiutare il figlio a uscire da una denuncia dei suoi trascorsi nell'istituto, chiederà un aiuto legale al vicino avvocato, frequentandolo per tentare un approccio con lui. Steve anche se consapevole che la madre si stia esponendo per aiutarlo, assumerà un atteggiamento profondamente persecutorio nei suoi confronti e in preda a una crisi di gelosia nei confronti di quella nuova e ingombrante presenza maschile, rivelerà il suo profondo bisogno di amore, come nella scena toccante del karaoke sulle note di "Vivo per lei". Steve è stato abbandonato una volta e teme di esserlo ancora, e non conosce amore se non quello della madre, così comincerà a erotizzare questo amore, l'approccio fisico sembra essere l’unica àncora di Steve per conquistare la madre come lo racconta una sequenza del film, quando Steve bacia la madre sulle labbra. Ma le conseguenze di questo tentativo disperato d'amore, saranno disastrose, in primis per il suo equilibrio mentale.
 
In una delle scene più belle del film, Steve dopo essersi tagliato la vena di un polso in un supermercato, viene trascinato dalla madre e da Kyla verso l’uscita, la sequenza è caratterizzata da un rallenty con il sottofondo musicale suggestivo di “Phase” di Beck.  I tre protagonisti sembrano volteggiare pesantemente nell’ambiente circostante come se le due donne non riuscissero più a sostenere fisicamente e psicologicamente Steve. Questa sequenza rivela una straordinaria sensibilità, trasformando quei momenti di puri tecnicismo che Dolan ci aveva abituato in passato, in vere raffigurazioni poetiche dell’interiorità dei personaggi, che diventano parte integrante del flusso narrativo.Si arriva con gran sorpresa alla scena madre del film, da cui, stando alle parole del regista, è nato proprio lo script del film, si tratta del "falso" finale, dove gli archi e le note del piano di “Experience” di Ludovico Einaudi accompagnano con struggente violenza la rappresentazione visiva di quel sogno “americano” nel quale tentano in vano di rientrare i protagonisti. Immagini di Steve appena laureato, poi adulto, poi padre, poi sposato si susseguono con fatidica inquietudine tra il clamore e l’entusiasmo del mondo, con la consapevolezza di una madre che non riuscirà mai ad amare suo figlio per quel che è. Alla conclusione del film non si può far a meno di interrogarsi. E chiedersi di quanto le nostre vite siano state condizionate da quel “sogno” e quante altre vite ne siano state condizionate e spezzate, di quanto l’amore di un genitore possa essere distruttivo quando viene plasmato da quel "sogno" e di quanto ci sia di disadattato in ognuno di noi e in quali proporzioni riusciamo a tenere a bada questo aspetto recondito di fronte alla società, facendo finta di non sapere che l’idea di felicità che ci è stata programmata, forse non corrisponde alla nostra facoltà psicologica, condizione economica e attitudine spirituale. Interrogativi quelli di Dolan, che in qualche modo toccano ognuno di noi, e che non si placano neanche di fronte al drammatico e liberatorio finale. Lo stesso amore che la madre prova per Steve, rimane un grande e doloroso dilemma. Questa è la forza di “Mommy”, la prima opera del regista che riesce davvero a perlustrare l'animo umano, arrivando all’universale.


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