Magazine Cultura
Prendo atto che non è gradevole commentare ad hominem senza entrare in argomento. Ma la lettura del post di Mozzi e poi la lettera aperta possono fornirmi un minimo materiale d'appoggio per respingere non tanto le tesi di Rondoni (che possono anche essere condivisibili, alcune; altre meno ma non m'interessa) ma il tono “polemico”, “provocatorio”, zeppo di invettive fuori luogo che la scrittura di Rondoni rappresenta.
Ecco alcuni stralci della lettera aperta di Rondoni, credo rivolta agli insegnanti di letteratura delle scuole italiane secondarie di primo e secondo grado; dico credo perché egli si rivolge ai destinatari così:
«Più che una lettera, questa è una supplica. O qualcosa dove l'invettiva, la supplica e il silenzio si rincorrono in uno strano, definitivo investimento. Vi dico: siete dei monaci. E dei guerrieri».
È vero, si deve leggere il libro o, perlomeno, tutta la lettera per capire. Ma dico, io: perché devono essere, i professori di lettere, proprio dei monaci e dei guerrieri? Perché non dei ciabattini o degli ingegneri? Cioè, scherzi a parte, perché non specifica subito le ragioni di tali professioni da imitare? Forse perché essere monaci e guerrieri non è propriamente una professione bensì una missione? E ancora con questa storia della missione dell'insegnante? Mah...A me vien subito da chiedere a Rondoni: ma perché non ha anche Lei fatto il concorso per diventar professore di lettere, o preso in altro modo l'abilitazione all'insegnamento, e fatto dipoi (o vincendo direttamente il concorso o attraverso la via crucis del precariato) il professore? Ognuno fa la bella fica a venire a insegnare dall'esterno come si fa scuola all'interno. Se si sentiva tanto vocato perché dunque non ha intrapreso tale strada maestra? Mi pare che di scrittori-poeti-professori ce ne siano a decine e anche di importanti e famosi se non erro e meno propensi a investire la scuola con le loro suppliche e/o invettive.
«Siete monaci, e guerrieri. Mal pagati. Messi a lavorare talvolta in condizioni spaventose. Tra editori e, spesso, dirigenti che non capiscono niente di tutto questo. In ambiti dove tutto sembra concorrere a mortificare la vita, e dunque anche la lingua. Tra burocrazia, pruriti che sembrano pestilenze, e sciabordio morto dell'abitudine. Tentati di far come tutti, parandosi dietro a questioni sindacali o familiari. Parandosi dietro alla difficoltà. Ma il monaco e il guerriero abitano la difficoltà. Non fanno solo un mestiere. Ne fanno centomila per l'esito della buona battaglia».
Non ci siamo, vero? Chiamatemi Monica Guerritore, voglio averla accanto per sopportar lo stridore di tal prosa e per pararmi le derrière. Per la mia particolare sensibilità di lettore, leggere brani simili è come tuffarsi ignudo in un campo d'ortica. Io mi sforzo perché so che anche l'ortica ha delle proprietà terapeutiche. Ma per coglierla ci vogliono i guanti e dopo va cotta, per decotto od infuso, oppure trattata secondo i canoni dell'arte erboristica. Ma la prosa di Rondoni è paragonabile all'ortica? Se la cuocio come sto facendo potrò ottenere una qualche sorta di beneficio? O è omeopatia pura?
«Ma tanto l'unica vostra dignità professionale è data dall'aver fatto tremare o sgranare gli occhi a qualcuno leggendo la pagina di un capolavoro come se si stesse scrivendo ora lì con voi. Collaborando a scriverla la vostra vita intera. Non è questione di soldi».
Alt. Non è questione di soldi? Ecco perché, o professori dovete essere, anzi: siete monaci e guerrieri. Ma (censura) i monaci e i guerrieri sono altamente retribuiti! Andate a vedere come stanno e quanto guadagnano i monaci dei vari Camaldoli d'Italia o i diversi mercenari assoldati dai ricchi del pianeta (ché le guardie del corpo con l'auricolare e il doppio petto non prendono una barcata di soldi al mese? Che le Amazzoni di Gheddafi guadagnano mille/millecinquecento euro al mese? Secondo me persino le reclute talebane guadagnano di più di un professore d'italiano in Italia).
È vero che insegnare è un mestiere particolare. Ma dalla repubblica in poi, in Italia (a parte un certo periodo nel quale, una volta immessi, dovevi giurare sulla Costituzione) insegnare è un mestiere come un altro, al quale si accede(va) attraverso gli studi (titoli) e gli esami (concorso). È un mestiere laico, non è una missione! Non è una missione! Non è una missione! Lo volevi fare? Avevi da studiare e da fare il concorso! Bastava e deve bastare ancora. Non esistono sacramenti letterari, ordinazioni. Non esistono giuramenti per chi deve insegnare (anche quelli sulla Costituzione andrebbero ancora bene).La scuola italiana avrà tanti difetti, ma il sistema di reclutamento del personale (anch'esso da migliorare, per carità, con l'avvio concreto di corsi di tecnica dell'insegnamento obbligatori sia per chi deve cominciare, che di aggiornamento per il personale di ruolo) è stato uno dei pochi, per quel ch'io sappia, a non aver avuto la nefasta influenza del “voto di scambio” dato che gli esaminatori dei concorsi non erano altro che professori o presidi scolastici.
Infine, non non nego il diritto a Rondoni di scrivere cosa vuole, come vuole e su chi vuole: ci mancherebbe. Vale a dire: se anche a me Il Saggiatore proponesse di scrivere un libello, chessò, sul mondo del calcio o della moda, m'impegnerei e qualcosa tirerei fuori dalla cappella (non fraintendete: sono i cosiddetti libri a cappella). Tuttavia, mi permetto di fargli una domanda: con che “diritto” egli pontifica sulla scuola e sulla professione d'insegnante di lettere? Per il fatto che egli è un poeta-scrittore-polemista? Non sente che la sua opinione ha lo stesso valore di quella di qualsiasi altro professionista dell'intelletto o di qualsivoglia altro genere di lavoro umano? Insomma, ripeto la domanda fatta anche prima: perché esimio Rondoni non ha intrapreso la carriera di insegnante di lettere? Non ha fatto il concorso perché non aveva voglia o perché non aveva i titoli? Zero tituli, zero esami?
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