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Mondiali 2014: l'italia di darmian non stecca la prima, ma e' ancora un cantiere e insegue lo spirito dell'europeo

Creato il 15 giugno 2014 da Carloca
MONDIALI 2014: L'ITALIA DI DARMIAN NON STECCA LA PRIMA, MA E' ANCORA UN CANTIERE E INSEGUE LO SPIRITO DELL'EUROPEO                                        Così Balotelli ha deciso la sfida con gli inglesi
A lungo, è stata soltanto l'Italia di Darmian. E faceva tenerezza, la nostra Nazionale, aggrappata com'era agli slanci, alla personalità, allo strapotere agonistico della sua più fresca recluta, un ragazzo che fino a pochi mesi fa era davvero lontano anni luce dal giro azzurro. Il laterale granata si "mangiava" letteralmente la fascia destra del campo, offrendo continui inserimenti e percussioni: autentiche frustate, sollecitazioni a compagni che parevano timidi, frenati, inconcludenti. Ma se l'ultimo arrivato nel club aveva suonato la sveglia, toccava a due pretoriani di Prandelli, presenti fin dalla prima convocazione londinese del 2010 (amichevole persa con la Costa d'Avorio) "dipingere" la partita e darle tonalità tricolori: Marchisio, su sapiente velo di  Pirlo, indovinava un destro da fuori area che freddava Hart passando in mezzo a una selva di gambe, e dopo che Sturridge aveva rimesso fulmineamente le cose a posto per l'Inghilterra, Balotelli in avvio di ripresa si librava in aria incornando in rete un pregevole traversone dell'ottimo Candreva, fissando il 2 a 1 finale. TORNARE AL PRIMO BIENNIO - Buona la prima, dunque, ma son state tutte rose e fiori? Beh, non proprio. Mi è parsa un'Italia desiderosa di riappropriarsi dell'idea di gioco portata avanti nel primo biennio prandelliano: occupazione quasi "militare" del terreno, prolungata gestione della palla per mantenere l'iniziativa e piegare il match ai propri "desiderata". Una filosofia che, pur costantemente presente nelle dichiarazioni d'intenti del cittì, dopo la semifinale di Euro 2012 si era sostanzialmente annacquata in atteggiamenti sparagnini, manovra involuta e fragilità difensive assortite. Questo tentativo di recupero è tuttavia rimasto a lungo, ieri sera, nelle intenzioni. Gli azzurri hanno fatto... gli spagnoli, senza però avere la forma mentis e l'equilibrio tattico complessivo della Roja dei giorni migliori: la ragnatela di passaggi quasi esasperante raramente si è tradotta in efficaci verticalizzazioni per attivare Balotelli, e nemmeno ha prodotto micidiali inserimenti dei centrocampisti (a parte un indemoniato Candreva), tantomeno è valsa a ridurre al minimo la spinta dei britannici, che troppe volte hanno superato il nostro sbarramento facendoci rinculare fin dentro l'area e andando più volte pericolosamente alla conclusione. MARIO TROPPO SOLO - Quello dell'attacco azzurro rimane un rebus: come ho scritto un'infinità di volte nell'ultimo anno, la formula a una punta diventa mortifera solo se Balotelli può usufruire del sostegno inesausto e continuo di una ispirata batteria di incursori, trequartisti, mezze punte: ieri sera così non è stato, se non con qualche sporadica fiammata, e quel povero Cireneo di Mario ha dovuto sobbarcarsi un lavoro enorme, facendo reparto da solo ma senza ricevere munizioni, tanto da scivolare più volte ai margini della partita, e la prima occasione da gol se l'è dovuta costruire sostanzialmente da solo, ricevendo palla, girandosi e scagliando un bolide dalla lunga distanza terminato alto non di molto. Quando finalmente è stato opportunamente liberato in area, prima ha messo scompiglio nella difesa avversaria costringendo l'ottimo Jagielka a un rocambolesco salvataggio sulla linea, poi ha trovato la rete della vittoria nel modo prima descritto. Il discorso non cambierebbe granché con Immobile al posto del milanista, al di là delle enormi differenze tecniche fra i due: l'abbiam visto ieri, Ciro, gravitare costantemente sulla linea dell'offside nella vana attesa della palla giusta, ma così è quasi un uomo regalato agli avversari. Fermo restando che lui e Balo potrebbero tranquillamente giocare assieme, ieri sera sarebbe bastato piazzare un Insigne alle spalle del nostro attaccante, o spostare qualche metro più avanti uno dei tre di centrocampo, per rendere più vivace e incisiva la nostra manovra offensiva. DIFESA: URGONO BONUCCI E DE SCIGLIO - Se l'attacco è un rebus, la terza linea è un'emergenza assoluta. La formula a quattro è quella giusta, ma sono certe scelte singole a far storcere il  naso, e meno male che Sirigu ha fatto ciò che deve fare un portiere da Champions League quale lui è: poche sbavature, generale sicurezza e una serie di opportune respinte sulle numerose conclusioni inglesi. Fin troppo sottovalutata l'assenza di De Sciglio, potenzialmente uno dei craque di questo Mundial, stando a quanto visto dodici mesi fa in Confederations: il rossonero avrebbe potuto fare sulla sinistra ciò che ha fatto Darmian sull'altro versante, dando respiro alla retroguardia, aprendo nuovi sbocchi alla costruzione del gioco e dirottando al centro un Chiellini che, nella versione offertaci ieri da Prandelli, è qualcosa di pericolosamente simile a una palla al piede. Anche Paletta è parso un pesce fuor d'acqua, spesso in ritardo, in affanno e "fuori sincrono" rispetto agli automatismi di copertura della squadra. L'italo - argentino è un buon francobollatore e poco altro: ha disputato un buonissimo, a tratti ottimo, campionato col Parma, aveva brillato all'esordio in azzurro nell'amichevole in Spagna, ma non credo sia il meglio che il nostro football possa offrire in quel ruolo, anche in tempi di vacche magre difensive come quelli attuali. La sua corsa verso la Nazionale è stata accompagnata da una massiccia campagna di stampa davvero degna di miglior causa: incomprensibile questo innamoramento di certe "prime firme" nei confronti di un difensore come tanti: una volta ci si mobilitava perché Trapattoni lasciava a casa Roby Baggio... Ad ogni modo è una curiosità e nient'altro, perché il cittì ha senz'altro fatto le sue scelte senza ascoltare alcun suggeritore, basandosi per l'appunto sulle lusinghiere risultanze della stagione gialloblù. Insomma, non ce ne voglia Paletta, ma nel cuore della retroguardia dovrebbe più opportunamente giostrare Bonucci, che oltretutto è anche abile a far ripartire l'azione, per quanto non sempre "pulitissimo" nei lanci. ITALIA CANTIERE - L'Italia è entrata nel Mundial brasiliano col piede giusto: poteva finire in parità senza scandalo, perché l'Inghilterra ha sostanzialmente cancellato la brutta figura di due anni fa, quando si piegò a un orrido catenaccio nel quarto di finale europeo contro di noi, finendo giustamente battuta ai rigori. Ma i nostri, vincendo, non hanno rubato alcunché. Successo che ci sta, ma che non deve esaltare: a tutto quanto detto sopra va fatta una tara legata alle difficili condizioni climatiche in cui si è disputato il match di Manaus, ma, come quasi sempre, i fattori esterni non bastano a giustificare ogni imperfezione. La Nazionale è ancora un cantiere aperto, è un team a metà del guado, indeciso sulla strada tattica da intraprendere: ha ripescato, in fondo al suo animo, le stimmate della squadra sbarazzina quasi mai più vista dopo il torneo continentale polacco - ucraino, ma quello spirito lo ha tenuto per troppo tempo nascosto e adesso fatica tremendamente a tirarlo fuori. E tuttavia sia Prandelli, sia i suoi ragazzi, sanno perfettamente che quell'anima propositiva è l'unica in grado di render bella e vincente questa nostra rappresentativa: val la pena insistere, con più decisione e qualche ritocco tattico e di formazione. Per il momento va bene, più che bene così: ricordiamoci che, per il nostro calcio, era una novità assoluta il debutto in Coppa del mondo con un'avversaria potenzialmente da ottavo o quarto di finale: eravamo abituati al Cile, all'Ecaudor o al Paraguay, approcci abbordabili per cominciare piano e completare con calma il rodaggio. E' stato il battesimo più terribile della nostra storia iridata, e ha sentenziato che "l'Azzurra" c'è. 

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