La Piccola Lunatica ha smesso di sussultare, finalmente. Dai buchi neri all’estremità dell’Universo estrae una corda graduata e si avvicina. Passa la corda attorno alla pancia della boccia per misurare la circonferenza del Mondo Fluttuante e segna la cifra sulla pagina di un block notes. Adesso mi guarda, confrontando la mia sagoma con la distanza tra indice e pollice, appositamente ed approssimativamente divaricati. Sa di dover tenere conto della distorsione dovuta all’acqua ed al vetro, ne tiene conto e si misura da unghia ad unghia. Poi dalla testa ai piedi, un paio di volte, arrotondando per eccesso, allarme autostima, quindi misura ad occhio lo stanzino.
“Il negozio è quattro metri per cinque… Il perimetro è diciotto metri… Otto sta a cento come centosessanta sta ad x… Maledizione! Persino Piraña ha più spazio di me!! Oh, mi scusi. Posso esserle utile?”
“No, stavo solo guardando…”
La signora appena entrata è alta e lunga. È vestita in maniera elegante, ha un trucco impeccabile, i capelli curati. Sembra la protagonista di un film.
“Che cosa cerca in particolare?”
“Forse… niente.”
Tocca tutto quello che vede sugli scaffali, lo soppesa, ne controlla il prezzo, la produzione, il marchio, poi rimette l’oggetto esattamente dove l’ha trovato.
“Guardi che abbiamo anche altri articoli oltre a quelli esposti in vetrina”
“Si, ma mi basta farmi un’idea…”
Questa curiosità a trecentosessanta gradi non aiuta Yoko, non le fornisce alcun appiglio, alcun indizio.
“È per un regalo?”
“Più o meno…”
Sembra una curiosità uniforme, come la pioggia autunnale ed altrettanto costante.
“Se serve le prendo quello che teniamo in magazzino, basta che mi dia qualche indicazione…”
“No, non è urgente, posso passare un’altra volta, così nel frattempo mi sono chiarita le idee…”
“Io sono qui…”
“È sempre sola?”
“Sì, non mi posso permettere una commessa…”
“Non si annoia?”
“Un po’…”
“Per questo s’è presa l’acquario? È tipico delle persone timide, sa?”
“Non lo sapevo, però fa davvero compagnia…scusi, la lascio un secondo, mi è entrato un altro cliente… Ha bisogno di qualcosa, signore?”
“Bisogno è una parola grossa… Siamo nel mondo dell’effimero!”
“Siamo in Oriente!”
Un ometto smilzo sorvola il negozio con sguardo annoiato, snob o imbarazzato, difficile a dirsi. Nulla lo attira particolarmente e in qualche modo si vergogna a controllare uno per uno gli oggetti sugli scaffali, come se avesse l’impressione di rovistare nei cassetti di un conoscente che l’ha invitato ad entrare in casa. Sposta leggermente le prime file, dà una breve scorsa, si accorge di non trovare niente di più interessante nelle seconde e decide di rimettere tutto a posto nella speranza che nessuno si sia accorto della sua curiosità e della sua incompetenza: un pupazzo gli sembra uguale all’altro così come, in altre occasioni, non è stato in grado di distinguere il tessuto o la foggia di due camicie diverse, o la qualità delle finiture degli interni delle auto esposte in un salone. In realtà, sa esattamente cosa vuole, ma, non trovandolo, non riesce a farsi conquistare da quello che vede, né ad accontentarsi di quello che c’è e si vergogna ad uscire a mani vuote.
“Stavo cercando il pupazzo di un robot particolare, facevano la serie in TV tanti anni fa, si chiamava… Grandizer. So che può sembrare strano per un uomo della mia età… è solo che mia sorella ne aveva uno in gomma dura, allora. Io ero cinque anni più piccolo, come adesso, d’altronde, ci sono cose che non cambiano facilmente, ed in un impeto di follia lo barattai con il pugnale di un amico. Non me l’ha più perdonato… Non so, passando di qui mi è venuta in mente questa vecchia storia, così ho pensato di entrare a chiedere… per regalarlo ai suoi bambini… una specie di risarcimento, anche se in ritardo… ha capito di quale robot parlo?”
“Mi spiace, ho presente il robot che intende, ma non ne fanno più. I bambini di oggi hanno altri eroi, guardano altri cartoni animati ed il mercato segue la televisione. Dovrebbe cercare nei mercatini dell’usato, fra le bancarelle degli appassionati. Forse li trova qualcosa che fa al caso suo… mi dispiace…”
“Non fa niente non è importante… grazie lo stesso…”