“Aiuto! Salvatemi! Non ce la faccio più a resistere. Aiuto!”
Lo Smilzo agguanta il primo supereroe che trova sullo scaffale e lo precipita in soccorso della barbie in pericolo. Mosso dalla sua mano, il supereroe la afferra e la accompagna verso un piano più sicuro.
I due si scambiano strane frasi di circostanza: “Mio eroe!”; “Ho fatto solo il mio dovere.”; “Ho temuto di morire!”; “È tutto finito. Si sente bene?”
I visi di plastica vengono fatti avvicinare, le bocche si toccano. Lo Smilzo e la Lunga Signora, dopo la prima occhiata, non si sono più guardati, impegnati a dare vita ciascuno al proprio fantoccio di gomma.
Ben presto si passa ad attività più concrete. I corpi di plastica si stringono, le giunture snodate si piegano, cadono i vestiti alla barbie. Vengono mimate posizioni oscene, il linguaggio si fa via via più scurrile, piovono insulti disgustosi, sanguinolenti, tutto quello che impedisce l’assenza dei sessi, viene descritto a parole.
Ciò che è umido, turgido, rorido, madido; ciò che è muscolo, fallico, fetido, rigido; ciò che è penetrabile, estraibile, ingoiabile o digitale viene declamato a gran voce, spogliato di ogni mistero e pudore, declinato fino all’eccesso, deturpato. Tutto viene soltanto imitato.
La Piccola Lunatica, come al solito, scatta fotografie, ferma all’altro lato dell’Universo, per non essere d’intralcio, oppure dà rapidi consigli circa le pose o gli attrezzi, le prese o gli insulti che vanno maggiormente di moda.
I pupazzi si prestano al gioco, non danno segni di cedimento. Non rischiano ferite, soffocamenti, traumi psicologici. Non si trasmettono malattie, non perdono il controllo, non si fanno prendere la mano. Non restano in cinta, non s’innamorano, non soffrono.
Improvvisamente il gioco è iniziato, improvvisamente finisce.
È la Lunga Signora a parlare per prima.
“Il mio avatar si chiama Priscilla. È architetto e sta lavorando ad un progetto importante. Fa parte dello staff che ricostruirà il World Trade Centre dopo il disastro dell’11 Settembre. La aspetta un’impegnativa trasferta in America. Ha trentacinque anni, non è sposata e vive da sola. Ha un bellissimo appartamento al trentaduesimo piano di un grattacielo in centro che condivide col suo gatto siamese. Come vedete veste solo Armani.”
“Il mio avatar si chiama Grandizer e questa non è la sua vera sembianza. Non ha ancora trovato sé stesso ed assume ogni volta l’aspetto di un diverso supereroe, il primo che capita. È come un’anima in cerca di un corpo, una forma in cerca della propria sostanza, alla periferia della vita.”
Nel Mondo Fluttuante, a quanto pare, cambiano i corpi, nella sostanza e di forma in forma, mentre le anime viaggiano con facilità attraverso sogni trasferibili.
L’apparenza non inganna. Traduce anzi necessità irrealizzabili. Non inganna, ma tradisce. Tradisce le sue vere intenzioni di apparire e scomparire all’occorrenza, speculando su nicchie di libertà, ritagli di intraprendenza e rimasugli di passione.
Nel Mondo Fluttuante è più difficile restare in equilibrio. Si tende comunque a scivolare verso luoghi comuni o pozze dove l’acqua ristagna. I rapporti sono facili alla liquefazione, per non dire allo scioglimento, travasano da un contenitore all’altro, passando attraverso tubi catodici, fibre ottiche o ponti radio. Non c’è stabilità e bisogna saper nuotare. È l’acqua l’elemento fondamentale e dall’acqua c’è molto da imparare.
“Oggi pomeriggio metterò la fotocronaca su internet, se mi date i vostri indirizzi e-mail vi mando il link da cliccare per accedere alla gallery…”
“Tenga il mio biglietto da visita.
“Grazie.”
“Ho avuto tutto il tempo l’impressione che quel pesce ci stesse guardando…”
“Non fateci caso. Lo fa sempre… Se volete accomodarvi alla cassa, sono novemilasettecentocinquanta yen, è la stessa tariffa applicata in Giappone, che nella nuovissima valuta locale fa settanta euro.”
“Pago io, lasci stare.”
“No, dividiamo…”
“Insisto, la prego. Mi permetta di offrire.”
“Grazie.”
“Ecco a lei.”
“Dieci, venti e trenta di resto. Grazie. Io e Piraña vi salutiamo e speriamo di rivedervi presto nel Mondo Fluttuante: articoli regalo, cineserie, giapponeserie e vita virtuale. Arrivederci.”
Nel Mondo Fluttuante, i sentimenti galleggiano trasportati da bolle d’acqua che prima o poi si sciolgono al passaggio di una corrente più calda, lasciandosi depositare sul fondo dove faranno da humus alla crescita di nuove alghe. È vero, oggi sono attratto della Piccola Lunatica, ma domani potrei innamorarmi perdutamente di una Cliente nel momento stesso del suo ingresso, dimenticandomela altrettanto perdutamente cinque minuti dopo la sua uscita dall’Universo. Non è solo una mia forma d’essere, anche Yoko sembra motivata da venti passeggeri, più che trasportata da costanti alisei, nelle sue relazioni. Il suo umore è instabile, incoerente, volubile e mutevole. I suoi amori durano il tempo di una ricarica telefonica.
Mangrovia invece ama davvero ed amare vuol dire mettere radici. Fermarsi e capire l’attesa, apprezzandola. Amare costringe a crescere, ogni anno un anello e qualche nuovo ramo.
Essere amato invece ti lascia libero, nomade, giovane. È l’elisir di lunga vita, il trucco per restare nel grembo materno, anche per chi, come un pesce, non l’ha mai provato.
Ho scelto di essere amato e restare piccolo, ma, se dovessero mutare i sentimenti di Mangrovia, cosa farei?
Mangrovia intanto mi stringe a sé, qualche millimetro più matura e più stabile di prima. Io sono indeciso se fuggire dalla sua stretta, curioso per quel che vedo ogni giorno attraverso la lente di ingrandimento di questa boccia di vetro o se restarle vicino, unica certezza in una realtà tanto liquida.