I Mondrian Oak sono uno di quei gruppi che abbiamo sempre seguito da vicino, un po’ perché incontrati spesso in sede live, un po’ perché finiti nelle maglie di label di cui ci siamo sempre occupati (Consouling Sounds ed Eibon), più che altro perché autori di una ricerca sonora in grado di unire differenti linguaggi da sempre nelle nostre corde, chiamiamola “post” per comodità e i nomi delle etichette citate facciano il resto. Impossibile, perciò, non restare sbalorditi di fronte d un cambiamento tanto radicale quanto inaspettato, con l’inserimento di un cantante e soprattutto una sterzata prepotente in terra rock, con la polvere del deserto a ricoprire il tutto e gli amplificatori lasciati a ruggire in libertà. Si potrebbe affermare con loro che la svolta sia figlia del famigerato “less is more”, eppure la scrittura è pur sempre frutto di musicisti che amano curare i dettagli e riporre un’estrema attenzione nella scelta dei suoni giusti, per cui nulla è lasciato al caso e ogni cambiamento di umore è valorizzato da piccoli quanto decisivi preziosismi. Di certo si deve prendere il loro stesso coraggio nel seguire questo cambio di pelle senza restare ancorati a un passato che ormai si stenta davvero a ritrovare nei solchi di People Have Secrets, soffocato da un’urgenza di comunicare e coinvolgere, lasciar parlare l’energia e tornare prepotentemente alla forma canzone. Di conseguenza, se in precedenza l’aspetto live era in qualche modo un banco di prova per quanto espresso in studio, oggi diventa momento essenziale e culmine di un lavoro che sembra nato proprio per prendere vita sul palco e diventare momento di condivisione con l’ascoltatore, come ben testimoniato dalla serata al Glue-Lab, della quale vi avevamo dato conto qualche tempo fa. Ciò che fa la differenza rispetto ad altre proposte in qualche modo similari è la mancanza di giri a vuoto, di momenti di fiacca o in cui si avverta la sensazione di un volere ma non potere, perché i Mondrian Oak dimostrano una padronanza dei propri strumenti e della materia trattata di tutto rispetto, di sorprendente c’è piuttosto il fatto che non sembrano aver fatto altro finora, quasi questa miscela di stoner, garage e noise-rock fosse il loro linguaggio da sempre. Non si è accennato finora al nuovo entrato e alla sua voce, il che è quanto mai ingiusto, visto che proprio Michele Magnanelli conferisce all’insieme un tratto caldo e corposo, adattandosi perfettamente alle traiettorie dei brani, sia quando sussurra ammiccante, sia quando graffia e segue le esplosioni di energia. In soldoni e al netto della buona dose di follia che ci vuole per passare dalle scarpe di introversi sperimentatori sonori agli stivali dei rocker da Rancho De La Luna, People Have Secrets sta in piedi da solo e non delude le aspettative, il resto ce lo faremo raccontare direttamente dalle loro voci.
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