Magazine Cinema
La trama (con parole mie): Billy Beane è il General Manager degli Auckland Athletics, ed ha appena concluso una stagione memorabile arrivando ad un passo da una vittoria inseguita per una vita.
Quando la società - certo non una delle più potenti e ricche della Lega - gli impone la vendita delle star della squadra è costretto a rivedere ogni suo piano futuro considerando il budget al ribasso fornitogli: è a questo punto che l'uomo unisce il suo destino e la carriera a quelli del giovane laureato in economia Peter Brand, che attraverso una serie di studi basati su matematica e statistica propone a Beane una squadra potenzialmente vincente costruita con scarti degli altri team, dal prezzo bassissimo ma dai "numeri" favorevoli.
E' l'inizio di un'avventura destinata a cambiare il mondo del baseball professionistico.
A volte, capita che lo sport - così come il Cinema - racconti storie che paiono costruite per contraddire tutte le realistiche e decisamente non positive opinioni che si hanno del genere umano.
Piccoli miracoli, resi possibili grazie al sudore e alla fatica, giocati tutti e prima di ogni altra cosa sul cuore di chi li ha trasformati in una realtà, prima ancora che in leggenda: la storia di Billy Beane e degli Auckland A's rappresenta senza dubbio uno di essi.
A metà strada tra la favola di riscatto di Cinderella man e le meraviglie dell'innovazione portata ad una disciplina da chi la ama profondamente de Il maledetto United, Moneyball racconta una delle imprese più incredibili della storia di uno sport fantastico, simbolo degli Usa e qui da noi purtroppo molto poco conosciuto e giocato, attraverso il punto di vista di due grandi strateghi dello stesso: Beane - un solidissimo Brad Pitt -, per l'appunto, ed il suo assistente Peter Brand.
Bennett Miller, già autore del convincente - seppur freddo - Truman Capote di qualche anno fa, fonde l'epica del film da grande pubblico ad un'autorialità silenziosa e chirurgica, in grado di raccontare il baseball praticamente quasi senza contare sull'appeal che, in questi casi, esercita il lato pratico "da campo", riducendo al minimo le sequenze di gioco, concentrandosi sul lavoro incredibile svolto dal general manager degli Auckland A's e dalla sua inseparabile spalla, riuscendo - pur con qualche difficoltà per chi non mastica le regole del gioco - a mostrare un aspetto unico di uno sport professionistico, raccontando con composta enfasi la trasformazione di una squadra di scarti dalle buone statistiche in una macchina da vittorie che ancora oggi non ha eguali nel suo ambito, riuscita ad andare anche oltre alle imprese dei team di veri e propri miti come Babe Ruth e Lou Gehrig.Ma attenzione, perchè questi pionieri sono a tutti gli effetti dei Goonies, outsiders a loro modo romantici quasi fuori tempo massimo, e dal reinventatosi prima base Hatteberg al veterano Justice - senza dimenticare lo stesso Beane - non sono certo destinati alle copertine, quanto più a divenire simboli di una rivoluzione che altri e soltanto altri - i grandi nomi, i predestinati ed i fuoriclasse - riusciranno a portare a compimento.
E Billy Beane, che non vuole smettere di credere che prima o poi avrà la tanto agognata vittoria nell'ultima - e decisiva - partita del campionato, diviene progressivamente il profeta di una nuova visione di questo sport, e attraverso il rapporto con l'allenatore - un forse troppo sacrificato Philiph Seymour Hoffman -, il suo assistente - sorprendente Jonah Hill, che avrebbe meritato il Globe -, i giocatori e la famiglia porta sullo schermo il ritratto di un sognatore rimasto scottato da un talento che lo bruciò come giocatore ma che, in qualche modo, aprì la strada per il suo successo nel ruolo di general manager: ed il suo rapporto con la figlia, filtrato attraverso una canzone semplice quanto toccante, o il suo insistere a non voler seguire le partite in prima persona, quella certezza fatta progressivamente a pezzi e dunque riconquistata grazie ad un vero e proprio miracolo, quell'esultare da solo - in una sequenza che rievoca l'altrettanto splendido passaggio di Clough nel già citato Il maledetto United -, lontano dal mondo che ama e che proprio per questo amore cerca di preservare, sono una meraviglia per gli occhi ed il cuore.
Perchè se normalmente la realtà ci insegna che non c'è spazio per i sognatori, ed i perdenti restano tali, siamo fortunati che lo sport - e, di nuovo, il Cinema - ci regalino uomini come Billy Beane, che da una scienza ha tirato fuori il cuore e dal risparmio della "crisi" gli uomini giusti per il riscatto.
Tutti noi dovremmo trarre ispirazione da una storia come questa.
E anche chi, di solito, si accontenta di stare troppo in alto, convinto che bastino i soldi a fare tutto.
Billy Beane ci insegna che la scienza è con quelli come noi. Gli scarti. I Goonies.
E anche - e soprattutto - il cuore.
Senza Billy Beane - che, come il suo giocatore sovrappeso, non si rende conto del fuoricampo che ha battuto - non esisterebbero i perdenti.
Senza Billy Beane non esisterebbe un record assoluto per il baseball professionistico che neppure i dream team sono stati in grado di realizzare.
Senza Billy Beane non sarebbe esistito un finale da mozzare il fiato come quello narrato da Miller.
Senza Billy Beane - ed i lostiani come il sottoscritto ne sapranno qualcosa - i Red Sox non avrebbero mai vinto le World Series.
Uomo di scienza, uomo di fede era il titolo di un episodio di quella memorabile serie.
Billy Beane è entrambi.
E da outsider senza speranza non posso che tifare spudoratamente per lui.
MrFord
"Some will win, some will lose
some were born to sing the blues
oh, the movie never ends
it goes on and on and on and on."
Journey - "Don't stop believin" -
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