“‘L’omosessualità è un problema che va estirpato ai primi sintomi attraverso sedute di psicoterapia’;
‘Se la psicoterapia viene affrontata nella prima adolescenza, se il problema si pone, è un problema che si risolve’;
‘Il nostro consultorio familiare affronta parecchie volte questo tema e ci riesce anche’’’.
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Queste, tra le altre, le affermazione del monsignor Rigon, vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico ligure. E mentre il cardinale Angelo Bagnasco nega che il monsignore abbia utilizzato il termine estirpare, noi ci chiediamo perché la chiesa continui a sostenere rispetto all’omosessualità una posizione totalmente anacronistica e antiscientifica.
L’Arcigay Genova, in proposito, ha delle domande molto chiare, e pretende risposte: “[ci chiediamo] se il Consiglio regionale non intenda condannare tutti i tentativi di considerare l’omosessualità una malattia e le azioni messe in essere per modificare l’orientamento sessuale delle persone; se e quali Consultori familiari che curano impropriamente gli omosessuali usufruiscono di finanziamenti regionali e infine se la Regione non intenda interrompere immediatamente ogni forma di collaborazione e sovvenzione con tali Consultori”.
In seguito a questo clamore l’Ordine degli Psicologi della Liguria ha rilevato la necessità di promuovere un’informazione adeguata in merito al tema dell’omosessualità e ha deciso di organizzare un incontro di informazione sull’omosessualità, aperto alla cittadinanza, Venerdì 4 Marzo.
Nel comunicato pubblicato sul sito dell’ordine si legge: “Le recenti affermazioni del monsignor Rigon, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico, hanno riproposto una visione dell’omosessualità come una malattia da curare, evidenziando la presenza, purtroppo in certe ambiti ancora consistente, di disinformazione in merito all’omosessualità. Una disinformazione che trascina con sé atteggiamenti discriminatori, pregiudizi, banalizzazioni e non tiene conto di quali effetti patogeni, questi sì, tali affermazioni possano provocare. Sostenere che l’omosessualità è una malattia e suggerire di servirsi di “professionisti terapeuti” per curarla, significa non conoscere le evidenze scientifiche degli ultimi anni”.
Questo è solo l’ennesimo esempio di quanta sofferenza sia inflitta alle persone LGBTQ, anche credenti, che faticano ad integrare il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere con la loro fede, e con i dettami imposti dalle loro chiese. Proprio in questi giorni il sito “The Bilerico Project” ha pubblicato il contributo di Emily C. Heath, una seminarista queer in una chiesa cristiana evangelica, che si chiede quando le persone del movimento LGBTQ saranno pienamente accettate in tutte le chiese.
Emily ammette che c’è un sacco di lavoro da fare, ma che ci sono persone come lei che guidate dalle loro convinzioni religiose e dalle loro responsabilità civiche hanno intenzione di lavorare duramente per l’uguaglianza. Sarebbe fondamentale, secondo Emily, che le persone religiose non consentissero ai dogmi cristiani di influenzare in modo così massiccio la loro percezione dell’identità di altri, e di provare invece a conoscere la loro personale storia, andando al di là di schemi rigidi e assolutamente anacronistici.
Articolo scritto dalle dott.ss Paola Biondi e Valeria Natali.