Regia di Gareth Edwards
con Scoot McNairy (Andrew Kaulder), Whitney Able (Samantha Wynden).
PAESE: GB 2010
GENERE: Fantascienza
DURATA: 93’
Sonda spaziale precipita sul Messico con a bordo organismi alieni sconosciuti. Quando giganteschi extraterrestri tentacolati prendono possesso del centro America, i governi costruiscono un muraglione che argini l’infezione. Sei anni dopo, il fotoreporter Kaulder è costretto controvoglia a recuperare la figlia del proprio capo, finita nella zona infetta e prossima alle nozze…
Fulminante esordio cinematografico del trentacinquenne Edwards con un piccolo, bellissimo film fantascientifico indipendente che arriva come una ventata d’aria fresca nel desolante panorama della sci-fi hollywoodiana, futile e fracassona. La premessa non è nuova, e i modelli più che espliciti (Jurassic Park, District 9, 28 giorni dopo, la filmografia di John Carpenter), ma questo Monsters rappresenta una piacevole sorpresa per varie ragioni. Innanzitutto perché è un raro film di fantascienza intimista, in cui la storia d’amore tra i protagonisti – o forse sarebbe meglio definirla un “breve incontro” – conta come la premessa fantastica, se non di più; gli extraterrestri giganti ci sono, e fanno pure paura, ma Edwards li lascia spesso in disparte per concentrarsi sulle psicologie, sui dialoghi, sugli sguardi. È una storia d’amore dolce e malinconica (oltre che realistica) che si consuma mentre fuori impazza “la fine del mondo” (ma non sono tutte così?), un viaggio di formazione in cui due opposti che si attraggono sorvolano l’abisso senza mai rinunciare alla loro umanità e alla chiarezza dei loro sentimenti. Suspense perfetta (proprio da Carpenter Edwards sembra aver carpito l’importanza del “non mostrare”), colpi di scena mai scontati e una capacità perfetta di coniugare un piccolo costo (circa 500mila dollari) con una sana, artigianale inventiva. Chi ha parlato di film in stile Cloverfield ha preso una cantonata: Edwards ha perennemente la camera in mano, il montaggio è frammentario, lo stile semidocumentaristico, ma al giovane regista britannico non interessa affatto fare un film in stile “real tv”; il suo scopo è piuttosto quello di creare un’opera visiva che racconti la storia dall’interno ma che, tuttavia, non rinunci ad un gusto delle immagini suggestivo ed emozionante.
Come dimostrano le bellissime immagini dei luoghi abbandonati che i due protagonisti trovano lungo il viaggio, è il film di un fotografo (Edwards è anche direttore della fotografia) per fotografi, con guarda caso protagonista un fotografo. La scena in cui i fuggiaschi riposano su una piramide contemplando l’imponente barriera che divide il Messico dal resto del mondo e quella – straordinaria – della stazione di servizio deserta sono due piccoli capolavori visivi che trasmettono una quantità infinita di emozioni. È, a modo suo, un film lirico, in cui la poesia scaturisce sempre dalla semplicità. Ma è anche un film “politico”, che parla delle condizioni del Messico e riflette in modo originale sul concetto di “frontiera”. Tutti gli effetti speciali sono stati creati da Edwards col suo computer. Bè, complimenti. Anche perché il suo film da una bella lezione ai vari Emmerich, Bay, ecc, ovvero che si possono fare grandi film fantascientifici rinunciando sia alla spocchia che ai soldi. E, non dimentichiamolo, qualitativamente questo Monsters vale almeno dieci Transformers. Un film assolutamente consigliato, anche per chi non ama la fantascienza apocalittica.