Pochi giorni fa il Corriere della Sera si è superato, stupendomi, e ha pubblicato una lettera di Indro Montanelli a Edmund Stevens, il corrispondente americano da Mosca che nel 1950 vinse il Pulitzer per la sua cronaca delle “purghe staliniane”, tuttora una delle più complete e imparziali mai realizzate. Il manoscritto, risalente agli anni Cinquanta, rivela anche la profonda amicizia che negli anni si instaurò fra i due grandi del giornalismo. Come disse Montanelli stesso nella sua rubrica sul Corriere nel 2000, lui e Stevens si incontrarono per la prima volta ad Helsinki per la guerra di Finlandia. Correva l’anno 1939. Tornando alla lettera pubblicata tre giorni fa dal quotidiano di via Solferino, rimane poco altro da aggiungere: il ritratto che l’ex direttore del Giornale fa del suo Paese andrebbe riletto a cadenza regolare, per quanto mi riguarda. Buona lettura. Caro Edmund, debbo muovere alcune obiezioni ai tuoi giudizi sull’ipocrisia americana. Anzitutto, non mi sono accorto che in America l’ipocrisia sia più diffusa che altrove: in Italia, per esempio. Mi sono accorto soltanto ch’essa è di diversa natura. Da noi l’ipocrisia non è un fatto sociale. Appartiene al novero delle iniziative private, e ognuno la esercita per fini personali. Gl’italiani, per esempio, non si metteranno mai d’accordo tra loro per sostenere una menzogna utile agl’interessi dello Stato o di una classe, come succede da voi, dove ogni tanto vengono varate grosse bugie collettive, cui ognuno si sforza di far finta di credere. Da noi nemmeno la dittatura fascista riuscì a imporre il conformismo. La gente applaudiva Mussolini ma non gli concedeva che il minimo necessario per poter continuare a vivere in pace. Italo Balbo, governatore della Libia, che una volta andai a trovare a Tripoli, mi disse, accennando alla sua uniforme con camicia nera: «Vedi cosa mi tocca fare per mantenere la famiglia?». Ed è press’a poco la stessa risposta che diede il vecchio Rossini al giovane Wagner, che gli chiedeva come mai aveva smesso di comporre. «Che volete? Prima, quando dovevo mantenere molti figli, ero obbligato a credere all’importanza della musica. Ma ora i miei figli son cresciuti e provvedono con i mezzi propri…». L’ipocrisia in Italia è dettata dal senso dell’«opportuno». È spicciola, pratica e utilitaria. Quando un italiano vuol cambiare partito, non fa un esame di coscienza; si limita a un calcolo di convenienza. Una cinquantina d’anni fa, a Capri, una ricca famiglia inglese si mise in testa di convertire gli abitanti al protestantesimo. E in un certo senso ci riuscì perché tutti i neofiti avevano diritto a mangiare gratis. Ma a un certo punto scoperse che ogni domenica andavano a confessarsi da un prete cattolico che aveva dato loro il permesso. Frattanto i missionari erano caduti completamente in miseria, perché i loro seguaci di fede ne avevano poca, ma di appetito molto. E allora furono gl’«ipocriti» che mantennero loro senza punto domandargli in cambio la conversione al cattolicismo. No, una vera e propria ipocrisia in Italia non c’è; ma non c’è per la ragione molto semplice, e poco nobile, che gl’italiani non hanno un Ideale. Essi accettano sé stessi. Non si sforzano di essere diversi e migliori di ciò che sono. In America l’ipocrisia nasce da questo tentativo. La donna americana che, prima di fare l’amore con un uomo che non è suo marito, beve, un po’ per stimolare con l’alcol i suoi desideri, ma soprattutto per poter credere l’indomani di aver agito senza il controllo della coscienza, certo è un’ipocrita; ma lo è perché ha nell’animo un’idea di onestà e di pulizia da preservare contro le proprie debolezze. Ricordo la mia indignata sorpresa quando, all’indomani della mia prima esperienza erotica americana, mi vidi trattato con estrema freddezza dalla mia compagna che si rifiutò di parlarne. Ero furioso. Da buon italiano, mi sembrava offensivo e ignobile che una donna avesse dimenticato o provasse disgusto per una notte d’amore con me. E non riuscii a perdonarglielo. Leggi tutto sul sito del Corriere
Leggi Montanelli e l’ipocrisia su Mi sono perso il Blues, il blog di Davide Piacenza.