La celebre fortezza di Monte Sirai, presso Carbonia
di Rolando Beretta
Le nuove “teorie” sull’antica cittadella di Monte Sirai, la interpretano oggi come centro abitato fenicio: è già un progresso notevole. Anche un centro abitato, però, necessita di acqua.
Personalmente ritengo che siamo di fronte ad un grosso deposito di alimenti. Cartagine, capitale dell’impero punico, spediva le navi in Sardegna e, in un paio di giorni, le stesse tornavano cariche di viveri. È evidente che le derrate alimentari erano pronte e immagazzinate da qualche parte. Da Monte Sirai si potevano scorgere le navi in arrivo e sarebbero bastate alcune zattere, o imbarcazioni di piccolo cabotaggio, per imbarcare tutto sul fiume che si trova sotto l’abitato e trasportarlo fino alle navi in rada. Le scarse risorse idriche presenti nel sito collinare erano appena sufficienti per “risciacquare”, ed erano decisamente inadeguate per essere utilizzate come riserva idrica per la popolazione, soprattutto se il sito, come ipotizzato da alcuni studiosi, fosse una guarnigione militare. Per eventuali nemici dell’impero punico, distruggere Monte Sirai equivaleva ad affamare Cartagine.
Alla fine del VI a.C. Monte Sirai prese fuoco. Era il periodo nel quale lo spartano Dorieo, come ci ricorda Erodoto, combatteva i Cartaginesi sul fiume Cinipe.
Macei, libi e cartaginesi impiegarono tre anni per ributtare in mare gli Spartani.
Nella prima immagine si possono ammirare due elmi corinzi della fine del VI a.C. conservati al Museo di Cagliari. Qualcuno ha mai letto qualcosa sulla loro presenza a Sulci, Sant’Antioco? Presumo di no ma, curiosamente, tutti parlano dei Popoli del Mare e tutti conoscono i temibili Shardana, gli spadaccini della guardia reale dei faraoni ramessidi.
Questo fatto costituisce un argomento da approfondire, così come quello sulla propulsione delle imbarcazioni, per il quale alcuni ricercatori si sono cimentati in proposte intriganti.
Recentemente Montalbano, nei post riguardanti le navicelle bronzee, ha ricordato che le protomi bovine delle navicelle nuragiche sono ornamentali e simboliche, avendo scarsa funzionalità per la navigazione, se non quella di distribuire il peso e offrire maggiore resistenza all’impatto frontale delle onde. Tuttavia, fin dal 5.000 a.C. l’arte rupestre ci ricorda, in ogni angolo del mondo, particolari imbarcazioni con protome bovina, o comunque di animali provvisti di corna.
Queste barche non presentano vele e non hanno remi. Sono dotate di una girante eolica che da molti studiosi viene interpretata come divinità solare, ma se così fosse dovrebbe avere i raggi all’esterno del disco. Come si nota dall’immagine, nelle raffigurazioni i raggi sono all’interno.
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