Monuments Men è il quinto film da regista di George Clooney, che da diversi anni non manca di farsi notare anche in questa veste per il suo stile e il suo tocco piuttosto cinico. Sembra che però questa volta non si possa dire lo stesso: Monuments Men è un film molto poco – passatemi il neologismo – “clooneyano”. Si parte da premesse (e promesse) eccellenti, se non entusiasmanti come un cast spettacolare, una storia interessante ma poco sentita che ci immerge nel mondo de La Grande Fuga, costumi e ambientazioni alla Bastardi senza gloria, musica di Desplat alla Il Ponte sul fiume Kwai, eroi rocamboleschi e teneri: gli ingredienti per un bel film, anzi per un cult, c’erano tutti e in abbondanza, eppure qualcosa nell’alchimia dell’insieme non ha funzionato del tutto. Il lato più interessante e coinvolgente è certamente il fatto che i cosiddetti Monuments Men sono realmente esistiti e la loro storia è veramente accaduta alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando Roosvelt si rese conto che tra furti nazisti, bombardamenti alleati e confische dell’avanzata russa presto ci sarebbe rimasto ben poco da ammirare e da studiare del patrimonio storico-artistico europeo: una dozzina di uomini, quasi tutti troppo anziani per combattere ed estranei alla guerra in quanto architetti, scultori, curatori di musei, etc furono spediti in questa particolare missione nel ’43, mentre si svolgevano le ultime operazioni belliche che i libri di storia di tutto il mondo ricordano. Senza il loro intervento, migliaia e migliaia di opere sarebbero andate perdute per sempre e con esse il patrimonio culturale dei popoli depredati dai nazisti, che oramai praticamente sconfitti andavano facendo terra bruciata, distruggendo tutto ciò che era sul loro cammino e in loro possesso. Monuments Men segue lo schema del team di personaggi più o meno caratterizzati e degli ostacoli che incontrano passo passo nella loro – relativamente – piccola storia all’ombra della grande storia che tutti conosciamo. Il film sembra però procedere a un ritmo poco sostenuto, cosa che conferisce un’impressione di durata eccessiva. Il cast non sembra amalgamarsi in particolar modo nel mondo descritto, mantenendo un atteggiamento a volte fin troppo gigionesco rispetto alla gravità degli argomenti mortiferi di sottofondo: i cambi di tono verso il drammatico/eroico sono un po’ troppo bruschi e ciò fa sì che Monuments Men rimanga in una sorta di limbo in cui sembra non volersi prendere troppo sul serio – salvo poi contraddirsi verso il finale – ma nemmeno riesce nell’intento di mantenere l’interesse alto per tutto il tempo. In parole povere, Monuments Men somiglia un po’ a un compito a casa, un tema completo nel complesso, da meritare la sufficienza, ma che George Clooney non aveva particolarmente voglia di portare a termine con passione.
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