In circa 25 anni che frequento Milano, a Monza ci eravamo stati ben poche volte, più che altro per frequentare l’autodromo e per un ristorante che piaceva molto ad alcuni parenti.
Finalmente (ed è passato fin troppo tempo), abbiamo deciso di visitare la villa Reale, anche perché in questo periodo ospitava la mostra fotografica di Steve McCurry, un artista molto apprezzato (quello della famosissima copertina di National Geografic con la ragazzina afgana).
La villa ci ha lasciato davvero senza parole. Peccato che non fosse possibile fotografare le stanze in quanto, come ci ha spiegato la guida, molte erano ancora prive degli arredi originali, andati dispersi tra i vari palazzi dei Savoia, primo fra tutti il Quirinale, dopo l’assassinio di Umberto I, quando sia il nuovo Re Vittorio Emanuele III che la vedova, regina Margherita, decisero di non abitare più in quelle stanze, ma fecero comunque trasferire altrove suppellettili ed arredi vari.
Intanto alcuni cenni storici.
La villa venne fatta costruire in soli tre anni, dal 1777 al 1780 dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria perché divenisse la residenza estiva del figlio Ferdinando d’Asburgo governatore generale della Lombardia. Fu scelto quel luogo sia per la salubrità della zona, che ospitava già altre ville nobiliari che per l’ubicazione, sulla direttrice che collegava Milano a Vienna.
Inizialmente furono stanziati 70mila zecchini d’oro per la realizzazione, somma che lievitò poi di ulteriori 30/35mila per lo sfarzo della costruzione e degli arredi in essa contenuti.
L’architetto incaricato dell’esecuzione del progetto fu Giuseppe Piermarini, già allievo di Vanvitelli che aveva progettato la reggia di Caserta, cui si ispirò. Nello stesso periodo lavorò anche alla costruzione della Scala di Milano e di palazzo Belgioioso. La villa, in stile neoclassico, ha la pianta ad U: un corpo centrale molto imponente con due ali laterali per alloggiare le stanze padronali e quelle degli ospiti, mentre perpendicolarmente ad esse ci sono altre due sezioni per alloggiare le stalle e la servitù. In totale si contano circa settecento stanze. Con l’avvento di Napoleone, la residenza venne abitata dal 1805 dal figliastro dell’Imperatore, Eugenio di Beauharnais, ma con la nuova caduta dell’imperatore, la villa fu quasi abbandonata, finché il viceré del Lombardo-Veneto, Massimiliano d’Asburgo, non ne prese possesso nel 1857. Con l’avvento del Regno d’Italia (1861), la proprietà passò allora alla dinastia Savoia, e nel 1868 il re Vittorio Emanuele II la donò al figlio Umberto ed alla regina Margherita quale regalo di nozze.
Le stanze, anche se parzialmente prive degli arredi, sono davvero magnifiche. La prima che abbiamo visitato, era la stanza del biliardo: di questo purtroppo non c’era traccia, ma era comunque arredata con numerosi tavolini da gioco intarsiati nello stile “Maggiolini”, dove i reali ed i loro ospiti si dilettavano a giocare a carte.
Seguivano poi le stanze riservate alla regina Margherita: quella dove era solita riposare, sola o in compagnia delle dame, con un trumeau, alcune poltrone ed una chaise-longue dove era solita ritirarsi a leggere.
Subito dopo, la stanza da letto, ma priva appunto del letto, anche se si è in procinto di situarne uno molto simile a quello da lei usato. Confinante con questo, le stanze da bagno: un minuscolo gabinetto e poi, in un breve corridoio, la vasca (piccola ed a livello del pavimento) tutta di marmo.
Purtroppo della ventina di armadi che contenevano i vestiti della regina, ne restavano solo un paio (per giunta in un ‘altra stanza): a dimostrazione di quante ante ci fossero, restavano solo le borchie che fissavano gli armadi al pavimento.
Poi la stanza in cui il re Umberto riceveva: un seggio simile ad un trono, poltrone varie, un busto, ritratti e fotografie del sovrano apposte alle pareti e l’enorme libro contenente le firme di quanti avevano presenziato alle nozze.
Quindi gli appartamenti del re: la sua stanza da letto composta da due sezioni delimitate da alte colonne: nella prima, un piccolo vestibolo, il bagno (anche questo in marmo a livello del pavimento) ed un gabinetto, poi quella che ospitava il letto rivestito da biancheria celeste, con un paio di poltroncine in tinta.
Subito dopo gli armadi con il guardaroba, con una particolarità: nell’ultima anta era celata una scala che permetteva al sovrano di uscire indisturbato. Dopo il guardaroba c’è l’armeria: tutta una serie di armadi con rastrelliere dove re Umberto, appassionato cacciatore, conservava i suoi fucili: nel parco della villa venivano fatte tante di quelle battute di caccia che agli ospiti erano offerte pietanze a base di cacciagione anche alla mattina per colazione.
La serie delle stanze si chiude con una imponente biblioteca: un tavolinetto di vetro separava le due sezioni, riservate rispettivamente al re ed alla regina. Negli scaffali purtroppo non sono più conservati libri, ma al loro posto fanno bella mostra numerosi e bellissimi servizi di porcellana della fabbrica tedesca Meissen.
Si passa poi al maestoso salone da ballo, l’unico a doppia altezza. Solo la pavimentazione in pietre pregiate assorbì buona parte degli stanziamenti per la costruzione. In alto, una piccola loggia accoglieva gli orchestrali che non dovevano essere in contatto con la nobiltà. Lampadari di cristallo illuminavano la stanza, le pareti erano decorate con dei trompe- l’oeil raffiguranti putti e colonne, opere del pittore Giuliano Traballesi, mentre il soffitto, decorato con affreschi, presenta una particolarità: il Piermarini, per documentare che quella era opera sua, in un riquadro aveva fatto dipingere la pianta della villa con la sua firma.
Le immagini sono state tratte da internet, vista l’impossibilità di scattare fotografie come spiegato sopra.
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