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Moonrise kingdom

Creato il 23 febbraio 2013 da Ussy77 @xunpugnodifilm

MoonOh my Wes! Musica e surrealità nell’ensemble andersoniano

Opera-concerto dall’intensa magniloquenza visiva, Moonrise Kingdom (2012) è una pellicola ricca di una sfavillante genialità registica.

1965. In un’isola del New England vive la dodicenne Suzy, preadolescente incompresa dai genitori. Sulla stessa isola si trova un campeggio dei cachi scout, al quale partecipa il coetaneo Sam. I due si sono conosciuti un anno prima e hanno cominciato una relazione epistolare finalizzata a una fuga d’amore.

Wes Anderson ammalia. Il film si apre con un’ouverture da applausi, nella quale il dolly regna. In sottofondo la guida didattica Young Person’s Guide to the Orchesta di Benjamin Britten, in cui vengono presentate le diverse famiglie di cui è composta l’orchestra, per poi riunirle in una fuga, più precisamente quella ideata da Henry Purcell. Allo stesso modo la macchina da presa si insinua distaccatamente negli ambienti dell’abitazione della famiglia Bishop, nella quale Suzy (soprav)vive. Moonrise Kingdom apre al pubblico in modo geniale, ostentando un controllo stilistico invidiabile unito a una simmetria maniacale. È così che Anderson costruisce le proprie opere: con estremo rigore e una cura ossessiva della fotografia e dell’aspetto scenografico. Difatti non si può non rimanere abbagliati da una scelta fotografica come quella che salta all’occhio in Moonrise Kingdom: un cartonato pastello apparentemente piatto e costruito, ma perfettamente in linea con il periodo storico che il regista affronta. E Anderson si rivela perfetto ed estremamente simbolico. Perché se si osserva in modo superficiale il film si può incappare in una costruzione narrativa semplice, quasi elementare, nella quale la surrealità e le numerose gag la fanno da padrone. Eppure la leggerezza e la dolcezza con cui Anderson tratta la sua opera sono ammirevoli. Nuovamente il mondo adulto contrapposto al microcosmo dei bambini; un cinema teso a ricercare le radici del comportamento adulto negli accadimenti degli anni giovanili. Un’indagine che porta a trovare più maturità e spensieratezza nei bambini piuttosto che negli adulti, nei quali l’indifferenza regna sovrana e le emozioni si sono sopite ormai da tempo. Uno sguardo filtrato dalle lenti del cannocchiale di Suzy e degli occhiali di Sam, due dodicenni che riescono a insegnare cosa può significare l’amore, come ad esempio emozionarsi per un bacio. E mentre gli adulti affossano le loro vite in apatia e rigidezza, Suzy e Sam vivono la loro come un’avventura. E accompagnati da turbamenti ed “etichette” di presunta pazzia, si prendono per mano e fuggono verso un surreale amore.

Anderson ha un gusto innato, che sfocia in una messinscena perfetta e in una ricercatezza musicale d’altri tempi. Se per quanto riguarda la prima, Anderson agisce da solo (o in compagnia dell’amico sceneggiatore Roman Coppola) grazie a una sequela infinita di punti di vista inusuali (primi piani emblematici e una fluidità registica sconvolgente), tutto questo unito a una sceneggiatura surreale, ma estremamente analitica e introspettiva, per quanto riguarda la seconda si rifugia nella professionalità di Alexandre Desplat. Il risultato è una colonna sonora sconvolgente, diegetica e ideale co-protagonista al pari di Suzy e Sam.  E non è un caso che il regista abbia deciso nei titoli  di coda di omaggiarlo degnamente, operando uno scomponimento di tutti gli strumenti  che hanno fatto parte dell’orchestra di Desplat. Un’operazione identica e inversa all’ouverture iniziale, accompagnata magistralmente da una voce over. Ma l’orchestra non è solamente un perfetto accessorio. Difatti risulta fondamentale ai fini della comprensione della pellicola; la chiave di lettura di Moonrise Kingdom. Una metafora della vita. Dopotutto per comporre un brano musicale funzionante, ogni strumento deve svolgere il proprio compito. Ogni tessera del mosaico deve essere a posto, come nella vita. E la pellicola lo insegna magistralmente mostrando i personaggi come figure nostalgiche e sole, affossate da una delusione dopo l’altra. Ma via via che l’azione procede, anche i suddetti personaggi cominciano a sentirsi nell’orchestra e la sensibilità di ciascuno si risveglia, cominciando a inserirsi meglio nella realtà.

Ma Anderson non è solamente un abile regista. Qui (e non solo, non dimentichiamo la coralità interpretativa di Le avventure acquatiche di Steve Zissou (The Life Aquatic of Steve Zissou, 2004) è anche un capace direttore artistico, riuscendo a rendere complementare un cast composto da numerose star (Murray, McDormand, Norton, Willis, Swinton, Keitel e Schwartzman), che si sorreggono a vicenda non togliendosi spazio ed evitando di sgomitare di fronte alla macchina da presa. In conclusione Moonrise Kingdom è un film delicato e significativo; una luccicante perla da ammirare senza riserve. Chapeau.

Uscita al cinema: 5 dicembre 2012

Voto: ****1/2


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