Se sbirciate con occhio indagatore nelle case che visitate, noterete quanto i locali con maggior concentrazione di carta oramai siano quelli dedicati alle funzioni fisiologiche più comuni, fermo restando che certa gente si porta il tablet pure lì dove restano gli unici momenti propri da possedere, per dirla alla Guccini con parole avvelenate. Sono finiti i tempi degli scaffali con i Topolini e le riviste omaggio da ritirare con i quotidiani, tabloid che andavano a impilarsi tra prodotti per l’igiene intima e creme di bellezza per un uso così nascosto ma altrettanto nobile delle consultazioni alla luce del sole. I quotidiani cartacei oggi hanno un ciclo di vita ridotto ai minimi termini tanto quanto è segnato il loro destino, d’altra parte tutto il virtuale touch ci sembra ancora così puro che mescolare digitale e sciacquone fa ancora lo stesso effetto dei mix tra piedi nudi e pavimentazione urbana in estate, quando, complici la calura e il disinteresse generale, per terra si trova un po’ di tutto. Esperienze tabù, insomma. Ieri sera, con un po’ di sforzo, ed è facile immaginare quale, davo però un’occhiata alla quarta di copertina di un noto settimanale di attualità, forse il più venduto in Italia. C’era una pubblicità che dava l’impressione di essere studiata ad hoc per creare un continuum con la copertina vera e propria. L’argomento in prima pagina era lo stress digitale come principale logorio della vita moderna, e dall’altra parte della rivista si trovava una comunicazione sorprendentemente contestuale. Ma sarà stato per il momento mio di altrettanto stress che la cosa mi ha preso davvero male. In quella comunicazione, più prossima a un pubbliredazionale che a una pubblicità vera e propria, si parlava di Big Data a proposito delle informazioni che le persone lasciano sui Social Network alla mercé del marketing digitale, di utenti domestici Senior nel senso di persone anziane, di Business con tanti esempi di casi di successo nel senso di aziende che cercano di rimanere a galla, e di pazienti della sanità intesi come clienti, all’americana, perché tenuti a pagare le prestazioni altrimenti son cazzi. Io avevo terminato di cenare da poco e la lettura del testo in questione, scritto un po’ con i piedi, lasciatemi dire, mi ha provocato una certa nausea. Così ho pensato che lo stress digitale molto spesso derivi non tanto dall’uso compulsivo che si fa dell’elettronica e dell’informatica quanto dal modo scriteriato di mettere insieme le parole di chi cerca di vendertela. Che poi io faccio proprio quel mestiere lì, quindi avrò diritto a un po’ di relax almeno quando ehm.
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