29 dicembre 2015
Morta durante il parto, quattro ipotesi per il decesso
Noemi Penna Torino - Per tutta la gravidanza, Angela Nesta è stata seguita dal consultorio famigliare di via Ventimiglia 112. Ha seguito gli esami indicati dall’Agenda della gravidanza fornita dalla Regione Piemonte, con il supporto dalla ginecologa Patrizia Nicolaci e degli altri specialisti del centro dell’Asl To1. Loro l’hanno definita «una gravidanza assolutamente normale. L’ultima volta che abbiamo visto Angela è stata il 21 dicembre, al corso pre parto». L’andamento degli esami è «sempre risultato regolare e anche se partiva da una situazione di sovrappeso, non poteva essere definita a rischio». Però qualcosa è andato storto. A dare le prime risposte sarà l’autopsia disposta per oggi dalle autorità, ma la causa della morte di mamma e figlia potrebbe solo aprire altri interrogativi. Angela e la piccola Elisa, nata morta a fine gestazione , potevano essere salvate? Caso raroAngela è una su diecimila. Una delle donne che ancora oggi, nei Paesi occidentali, muoiono di parto. Le statistiche sfavorevoli per la piccola Elisa erano più alte: la mortalità perinatale si attesta intorno ai 3 su mille. Ma la coincidenza della morte di madre e figlio in sala parto è ancora più rara, e porta a pensare ad una causa comune. Un comune denominatore in grado di spiegare l’arresto cardio-circolatorio della donna durante la fase espulsiva del feto - la più dolorosa e impegnativa per il cuore di ogni donna, in modo particolare di chi ha qualche chilo in più - e la morte in utero del feto, che fino alle 23 di Santo Stefano stava bene. Tripla inchiesta
Mentre la famiglia punta il dito contro l’ospedale e chi nella notte fra il 26 e il 27 ha assistito al parto di Angela, il ministero della Salute ha annunciato l’arrivo al Sant’Anna degli ispettori, la cui indagine andrà oltre al fascicolo aperto dal pm Monica Supertino (che ipotizza l’omicidio colposo a carico di ignoti), e a quello dell’Osservatorio sulla mortalità materna dell’Istituto Superiore di Sanità. E anche se ufficialmente nessun medico si sbilancia sulle possibili cause, in corsia e fuori circolano più ipotesi. In ogni caso, secondo la professoressa Chiara Benedetto, primario del reparto del Sant’Anna dove Angela è stata ricoverata il 23 dicembre, «è stato fatto tutto il possibile: la situazione è peggiorata in modo repentino e senza alcun preavviso». Possibile cause
Secondo l’équipe medica, Angela era molto agitata e ha rifiutato l’ultimo tracciato, quello che avrebbe potuto monitorare il cuore della bimba e far capire che qualcosa non andava. A causare l’improvvisa dilatazione potrebbe essere stato il farmaco somministrato per indurre il parto, che ha fra gli effetti collaterali più comuni la lacerazione dell’utero e riduzione di ossigeno per il feto. Ci sono poi tutte le cause patologiche, che vanno dall’ipertensione ad un attacco ischemico sino alle malformazioni congenite. C’è poi la questione del peso e dell’aumento ponderale in gravidanza, che ha portato la donna a rientrare negli indici dell’obesità. ++++++++++++++++++++++ 29 dicembre 2015
Morta durante il parto a Torino, il compagno: «Era a terra in stanza»
Massimiliano Peggio Torino - Sul mobile del salotto c’è la foto di Angela a sei anni, in tutù rosa da ballerina. «Faceva danza classica - dice il papà Pietro - Una volta, poco prima di un saggio, cadde malamente e si ruppe un braccio. La portammo in ospedale, preoccupati, ma per tutto il tempo cercò di convincere i medici che non si era fatta nulla, perché non voleva rinunciare a quell’appuntamento. Era forte, mia figlia, una roccia». In casermaIeri pomeriggio i carabinieri di Mirafiori, su delega della procura che indaga sulla morte di Angela, la mamma di 39 anni, deceduta nella sala parto del Sant’Anna con la sua bimba Elisa, nella fase «espulsiva del feto», hanno sentito il papà, Pietro Nesta, e il compagno, Francesco Scarlata. «Cosa abbiamo detto? Tutto quello che è successo: da quando è stata ricoverata la prima volta il 21 dicembre, fino a quando mi sono presentato in sala parto con i carabinieri, nella notte del 26, perché non ci volevano fare entrare» racconta il padre. E aggiunge: «Sì è vero, ho perso la testa ma non ho aggredito nessun medico. Ero sconvolto perché non ci dicevano niente. Eravamo in balia del dolore». La convivenza
Angela e Francesco si erano conosciuti nel 1999, tramite amici, poi si erano lasciati. «Undici anni dopo ci siamo rivisti e da quel momento non l’ho più mollata. Era l’amore della mia vita» racconta Francesco, dipendente della Lear. «Nel giro di una settimana ci siamo messi insieme e poco dopo siamo andati a convivere in un alloggio di via Cortemilia, a due passi dai suoi genitori». Tra alti e bassi per il lavoro, hanno deciso di mettere su famiglia. «Volevamo un bimbo perché tutti i nostri amici avevano figli. Così lo abbiamo cercato per quattro anni. Poi, il 2 maggio, finalmente ha fatto il test: positivo. Eravamo fuori di testa quel giorno, ubriachi dalla gioia. Il mattino seguente lo ha rifatto ed era di nuovo positivo. Ho subito chiamato amici e parenti, sembravo un pazzo». In estate hanno scoperto il sesso: femmina. Quando? «Il 12 agosto». Il nome chi lo ha scelto? «Insieme. Angela mi chiese: “cosa preferisci tra Erica ed Elisa?” Le risposi: “Elisa”». La telefonata
Francesco è stato l’ultimo a vedere Angela in vita, nella serata di Santo Stefano. «Si contorceva dal dolore. Dopo un po’ di insistenza, i dottori sono venuti a visitarla, ma continuavano a dire che era tutto a posto e non era arrivato il momento di partorire e che non era il caso di ricorrere al cesareo». Ha salutato Angela e se n’è andato a casa. «Mi hanno detto di andare a dormire tranquillo, perché era tutto sotto controllo. Sono andato via con le lacrime agli occhi, pensando che fosse in buone mani. Sarei dovuto rimanere in ospedale». Alle due e un quarto di notte è arrivata la telefonata, dal telefonino della donna. «Mi hanno chiamato dicendomi che avevano trovata Angela a terra, nella sua stanza, e che la nostra piccola era nata ma non ce l’aveva fatta». Così ha subito chiamato il padre di lei: insieme hanno raggiunto il Sant’Anna. «A ripensarci ora, l’unico segno di umanità lo abbiamo ricevuto dal sorvegliante che ci ha accompagnati all’interno dell’ospedale, prendendosi cura di noi. Cosa che non hanno fatto i medici». La mia mamma, nata nel 1909, diceva: "Si chiama parto perché si parte.. si muore.." Antichi detti legati alla realtà di epoche in cui la morte per parto era frequente. O ti aiutava la natura o eri spacciata, ma non solo, giacché anche i medici facevano la loro parte infettando le donne che morivano delle cosiddette "febbri puerperali". Da Wikipedia: L'infezione era molto diffusa fino alla seconda metà dell' '800 e veniva trasmessa per contagio diretto tramite lesioni della mucosa avvenute durante il parto. Fu Ignác Semmelweis a formulare l'ipotesi, straordinaria per l'epoca, che questa fosse dovuta all'abitudine che i medici e gli studenti presenti in reparto avevano di passare dall'esame autoptico sulle donne decedute direttamente al contatto con le partorienti che andavano a visitare in corsia[2]. La patologia è stata del tutto debellata, in seguito, grazie alle norme igieniche che sono state adottate a scopo preventivo nei reparti di maternità degli ospedali. Ancora oggi, sia pure con scarsa frequenza, si può morire di parto. Resta da vedere se per patologia inevitabile o se per incapacità o dolo del personale sanitario, oppure se per una concausa fra i due fattori. La mia mamma mi partorì nel 1946 a Roma, nel reparto maternità dell'Ospedale S. Giovanni. I suoi racconti riportano di una gravidanza senza analisi, senza visite ginecologiche, fino al parto a termine in cui però il personale sanitario non ci fa una bella figura, calcolando che siamo nella Capitale d'Italia e in un grande Ospedale. Doglie durate 24 ore! Ostetriche di turno che ai lamenti delle donne in travaglio commentavano ridendo: "T'è piaciuto eh? E mo' soffri!" Dopo una notte orrenda senza aiuto alcuno, al mattino passa il Primario in visita di prammatica seguito dal codazzo degli Assistenti e Studenti ossequiosi, visita la "primipara attempata", così la definisce (mia madre aveva 37 anni), dicendo "La madre ancora resiste ma il feto è in sofferenza, la bocca dell'utero è stretta, bisogna portarla in sala parto." In sala parto le viene applicato il forcipe, oggi credo non più usato per tanti danni fatti ai neonati fino alla morte per distacco della testa, e nasco io, senza vagito perché asfittica, dato che ero nel canale del parto dalla notte ma la partoriente, abbandonata a sé stessa e con "la bocca dell'utero stretta", aveva invocato inutilmente un soccorso. Il forcipe mi lascerà un livido sulla tempia destra. Nel 1966 nasce la mia prima figlia. Questo il progresso: visite da un Primario Ginecologo Direttore di una clinica specialistica, analisi delle urine per tutta la gravidanza, visite dal medico di base. Conclusione: all'ottavo mese di gravidanza attacchi eclampici, pressione arteriosa a 200, poi coma, albumina al 3 x mille, ricovero con ambulanza a sirene spiegate verso lo stesso Ospedale dove sono nata. Novità: la maternità è nuova e si è trasferita dall'antico edificio dell'Ospedale del Salvatore nel retro dell'Ospedale nuovo. Il giovane e sconvolto marito viene rimproverato dai medici del Pronto Soccorso: "Si porta una donna in queste condizioni? Gestosi gravidica!! Ma non faceva le analisi delle urine?" Il poveretto tira fuori da una tasca le ultime analisi fatte all'INAM (ente mutualistico dei lavoratori del settore privato, eliminato quando fu creato il Servizio Sanitario Nazionale unificando la prestazione sanitaria per tutti). I medici leggono e si tacciono: le analisi riportano la data di 15 giorni prima e c'è scritto "albumina assente". Dicono: "Ma non è possibile che oggi misuriamo un'albumina al 3 per mille e che 15 giorni fa non c'era nulla!" Per loro le analisi sono state fatte senza cura... Oggi si sporgerebbe denuncia e si chiederebbero i danni. Mia figlia nasce per via naturale grazie alla perizia dei medici del S. Giovanni che provano ad evitare il cesareo, data la mia età giovanissima, nonostante l'urgenza di salvare la vita alla madre ed al nascituro che viene alla luce, mentre io sono in coma, inducendo il parto con farmaci dati per flebo e per via intramuscolo. Una situazione drammatica che si è risolta bene anche per fortuna, oltre che per la bravura dei medici, perché la bambina, prematura ed asfittica a causa del debito di ossigeno dovuto alla madre sotto attacchi eclampici, non ha riportato danni cerebrali e nemmeno la madre. Dunque tre eventi che non esiterei a definire criminosi hanno portato a questa situazione: il grande Direttore di Clinica Ginecologica a cui pagavamo profumatamente le visite si faceva leggere le analisi per telefono, accontentandosi "dell'albumina assente" che il Laboratorio di Analisi Cliniche dell'INAM scriveva nei referti in modo altrettanto criminoso, giacché già dall'inizio del settimo mese di gestazione si erano evidenziati degli enormi edemi alle caviglie, di cui avevamo informato il Grande Professorone ed il medico di base, i quali, evidentemente, non avevano nemmeno letto un bellissimo libro divulgativo scritto dal Ginecologo Ferruccio Miraglia intitolato "Sarò Madre", che mio marito mi aveva regalato e che io avevo letto apprendendo una serie di cose interessanti e illuminanti. Abbiamo ricostruito che io debbo aver avuto il primo attacco eclampico mentre ero da sola, perché mio marito era uscito per chiamare il medico di base, dato che avevo nausea e sonnolenza, praticamente uno stato precomatoso data l'albumina che ormai intasava i miei reni. Arrivato il medico di base misura la pressione e dice: "200" e prescrive dei vasodilatatori!!! Io ero sveglia in quel momento e, se pur annebbiata dalla sonnolenza, ricordai quanto letto sul libro "Sarò Madre" e dissi al medico: "La pressione alta è un sintomo della gestosi gravidica". Ma nemmeno il suggerimento di una paziente che aveva letto solo un libro divulgativo accese un lumino nella mente del medico, immeritevole di tale titolo accademico! Ed egli se ne andò dopo aver prescritto dei vasodilatatori ad una donna incinta all'ottavo mese, con evidentissimi edemi alle caviglie ed un altrettanto stato precomatoso che avrebbe dovuto essergli chiaro alla semplice visita... Avremmo dovuto denunciare tutti e tre: Inam, Professorone dei miei stivali e medico di base. Ma eravamo così felici di star bene ed essere tutte e due sane e salve che non denunciammo nessuno.
"Sarò madre" - la donna dall'adolescenza alla maternità - Autore il Ginecologo Dott. Ferruccio Miraglia