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«Non ho paura delle rappresaglie. Non ho figli, non ho una moglie, non ho un’auto, non ho debiti. Forse potrà suonare un po’ pomposo, ma preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio«». Aveva detto così nel 2012, Stéphane Charbonnier, Charb, direttore di Charlie Hebdo.
Come noto, gli uffici del settimanale satirico francese, mercoledì sono stati colpiti da un attacco terroristico in cui hanno perso la vita 12 persone. I tre fanatici religiosi che hanno aperto il fuoco contro innocenti inermi, erano vestiti di nero, imbracciavano dei kalashnikov e urlavano “Vendicheremo il Profeta” e l’ormai abituale “Allah u Akbar”.
Già nel novembre 2011 la sede del giornale era stata distrutta da una molotov: il numero in edicola quella volta riportava in copertina una vignetta di Maometto che diceva «Cento frustate se non morite dalle risate». Uscì come “Charia Hebdo”, e Maometto fu menzionato come direttore onorario. «L’Islam non può sottrarsi alla libertà di stampa», disse Charb. La risposta di quell’Islam fu la bomba negli uffici: oggi, lo stesso Islam, apre il fuoco contro la riunione di redazione.
La matrice islamica dell’attentato, anche se ancora non rivendicato, è chiara: resta da capire se si tratti dei soliti cani sciolti, infiammati dalla propaganda, schiantati radicali, spesso marginalizzati dal contesto sociale, oppure sia un piano ben studiato.
Una cellula: forse di Aqap, al-Qaeda in Arabic Peninsula, il gruppo qaedista che opera dallo Yemen aveva già fatto inserire, nel numero di Inspire di marzo 2013, Charb tra le teste da cacciare “dead or alive”. Secondo testimoni, uno degli attentatori avrebbe detto di essere di al-Qaeda. Oppure potrebbe essere un fronte europeo dello Stato Islamico.
Tra i due mali, sembrerebbe meglio il primo. Pensare a terroristi “organizzati in casa”, che imbracciano le armi e aprono fuoco a sproposito, fa paura. Ma pensare che si tratti di al-Qaeda, è ancora peggio: perché significherebbe che l’organizzazione guidata da Zawahiri sta cercando visibilità. Tentativo per riconquistare il ruolo predominante nella jihad globale, rubatogli proprio dal gruppo siro-iracheno del fuoriscito Baghdadi. E il 9/11 ci ricorda, terribilmente, ciò di cui è capace il gruppo fondato da Bin Laden.
Avere a che fare con schiantati radicali è un conto: lottare contro un’organizzazione minuziosa è tutto un’altra problematica. Eppure non c’è da stupirsi. Se non fossimo così superficiali e disattenti ci saremmo resi conto di come il fondamentalismo islamico sta diventando, di nuovo, “il” problema del mondo. Di tutto il mondo, pure della nostra cara Europa, pure della nostra amataItalia.
La prova di forza del terrorismo islamico, è stata, ancora una volta (dopo Libération nel 2013), orientata a colpire un giornale, il luogo simbolo di uno dei valori fondanti della nostra democrazia: la libertà di informazione, di stampa, di espressione. A Parigi, la culla storica della laicità repubblicana, secolarizzata, illuminista. Proprio a Parigi, ancora, capitale di quella Francia piena di musulmani immigrati da ogni parte del mondo. Dove la destra di Marine Le Pen sta inasprendo sempre di più lo scontro sull’immigrazione: un terreno perfetto per la propaganda jihadista, dove serviva un gesto emblematico.
Hassen Chalghoumi, un imam piuttosto famoso in Francia che vive a Drancy, comune poco lontano da Parigi, ha condannato il gesto: «Non abbiamo lo stesso profeta», ha detto riferendosi agli attentatori. E condanne sono arrivate pure dalla Lega Araba e da vari istituzioni islamiche come l’Università al-Azhar, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita.
Resta che adesso, come non mai, serve che quell’Islam moderato che tutti andiamo cercando, esca allo scoperto e lotti contro le derive marce di sé stesso. Questo non è uno scontro interculturale, ma deve necessariamente essere una battaglia intraculturale, alla fine della quale i radicali islamici devono essere schiacciati ai margini dai moderati. Come gli occidentali fecero con il loro cancro: il nazi-fascismo, ora il mondo islamico deve affossare il propio nazismo.
La speranza sono quei moderati, di cui, adesso come in alcune circostanze in passato, molti mettono in dubbio l’esistenza. Sarebbe rassicurante vedere le stesse manifestazioni di piazza che sollevarono centinaia di musulmani quando uno sfasato minacciò di bruciare il Corano, adesso, contro gli attentatori di Charlie Hebdo.
Charb è morto in piedi: è morto facendo quello che stava facendo. È morto con in mano la libertà che soltanto la satira, laica, può avere. È morto continuando a fare quello che amava, nonstante le minacce e gli attacchi. Nonostante fosse stato messo sotto processo dal perbenismo francese, che lo considerava islamofobo: erano vignette, erano un tentativo di alleggerire – ridicolizzare, a volte – la mostruosa irruenza ideologica che l’Islam fondamentalista rappresenta.
Ma per restare in piedi, noi non dobbiamo cedere alla semplificazione. Lo scontro culturale, lo scontro religioso, era quello che sottolineava C. Hebdo e di cui si nutriva la sua satira. Per restare in piedi, dobbiamo continuare a crederci tutti.
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